Posto questa lirica nella lingua in cui è nata, ma trovate la traduzione qui
Sincerely, Ruth
di Désirée Dippenaar
My story is not yet over,
I am still here today
in other people who cross your way –
do you see me?
I am the widow who's lost everything.
I am the foreigner – different and strange.
I am the immigrant in a strange new world.
I am the refugee, left homeless suddenly.
I am the mourning one, uncomforted.
I am your neighbour,
waiting for your love,
wanting to be your friend.
Will you, like Boas, welcome me,
invite me, accept me, help me?
Will you meet me with words of love,
of blessing,
and be a neighbour to me?
I want
your land to be my land –
will you help me?
Noi che non siamo abbastanza importanti
da avere un posto riservato, o siamo
arrivati in ritardo per qualsivoglia posto,
stiamo di lato in piedi, o su sgabelli ci sediamo.
Dalla porta gli spifferi ci fan rabbrividire,
il coro non vediamo, né candele né altare,
a stento i sacri testi riusciamo a decifrare.
Ma sentiamo la musica. E possiamo cantare
al bimbo che non ebbe genitori abbastanza
importanti per avere posti riservati,
che troppo tardi giunsero anche per una stanza.
Wendy Cope, da Guarire dall'amore, 2012 Traduzione di Silvio Raffo
Distratto
dal fragore delle onde
dall'urlo del vento
dal frastuono del mondo
dall'ululare dei lupi
dal gallo nella notte
dal brusio delle voci
dal ronzio dei minimi
dallo stormire delle foglie
dal respiro della risacca
dal
sussurro
della
coscienza
ho quasi scordato il suono
– che ben si accorda con la mia vita –
della carezza che spazza via
ogni timore e preoccupazione
dalla tua fronte e dalla mia.
Tu dormi di Marco Beasley da una frottola di B. Tromboncino (1470-1535) Tu dormi, io veglio alla tempesta e al vento su la marmorea petra di tua porta. Tu dormi, io veglio e sto sempre in tormento e l'anima ed il core da me scampo. Tu dormi, io veglio e con amaro accento ognhor chiami pietà che è per me morta. Tu dormi, io veglio e poi in un sol momento di lagrime e di pianto io qui divampo. Tu dormi, io veglio con grave tormento né trovo al mio penar chi me conforta. Tu dormi, io veglio e solo mi lamento di vita vo' soffrir tutto l'inciampo. Tu dormi riposata senza affanno, e gli occhi miei serrati mai non stanno. Tu dormi ed io, crudel, lamento e ploro, e moro ahimè, ch'io moro. Dal minuto 1:37
A volte sono incerte
tra la neve che si scioglie
e la terra che respira,
le piccole orme.
Come se avesse
una zampa rotta
o una zampa stanca
o una zampa offesa
o un ripensamento
di tanto in tanto.
Quando mi volto a guardarle
– mi accade spesso,
ma non inciampo –
mi sfiora un timore
– ma non in fondo al cuore –
e mi sfiora l'ansia
– ma non nell'anima –
e mi sfiora l'angoscia
– ma non nel midollo –
di non saper attendere
alle piccole orme.
Eppure seguono
le piccole orme,
come se a tratti
qualcuno t'avesse
fatto affrettare in braccio
Non perdermi,
non smarrirmi,
non lasciarmi
senza un guinzaglio:
guaisco e basta
e sono spaesato
e sono sicuro che
se non finirò sotto un'auto
una lacrima
mi si fermerà in gola
e mi impedirà
di cogliere aria
e io non saprò che fare
e infatti non saprò fare
e morirò
Scenderò le scale piano,
cercando di non far rumore.
Non so per quanto ancora
tu indugerai lassù.
Io,
giunto all'ultimo scalino,
ti attenderò ancora un po'.
Allora ti sarai forse svegliata
e avrai voglia di salutarmi,
magari anche con un abbraccio
e un bacio,
oppure no.
Dai sospiri nasce qualcosa,
Ma non dolore, questo l’ho annientato
Prima dell’agonia; lo spirito cresce,
Scorda, e piange;
Nasce un nonnulla che, gustato, è buono;
Non tutto poteva deludere;
C’è, grazie a Dio, qualche certezza:
Che non è amore se non si ama bene,
E questo è vero dopo perpetua sconfitta.
Dopo siffatta lotta, come il più debole sa,
C’è di più che il morire;
Lascia i grandi dolori o tampona la piaga,
Ancora a lungo egli dovrà soffrire,
E non per il rimpianto di lasciare una donna in attesa
Del suo soldato sporco di parole
Che spargono un sangue così acre.
Se ciò bastasse, se ciò bastasse a dar sollievo al male,
Il provare rimpianto quando quello è perduto
Che mi rendeva felice nel sole,
Quanto felice il tempo che durava,
Se ambiguità bastassero e abbondanza di dolci menzogne,
Potrebbero le vacue parole sostenere tutta la sofferenza
E guarirmi dai mali.
Se ciò bastasse, osso, tendine, sangue,
Il cervello attorcigliato, i lombi ben fatti,
Cercando a tastoni la materia sotto la ciotola del cane,
L’uomo potrebbe guarire dal cimurro.
Ché tutto quello che va dato, io l’offro:
Briciole, stalla, e cavezza.
Come un aldilà posticcio,
questa mia tregua imposta.
Non promette pace eterna
e non fa dimenticare:
con i suoi abusati orpelli
riesce solo a respingermi aldiquà.
Non ancora
un'eternità di lamenti,
ma la pedana del tuffatore:
spruzzi d'acqua viva
sul tuo vestito
della festa.
Fai pure del tuo peggio per sottrarti a me, ma per tutta la vita mi apparterrai: vita che non durerà più a lungo del tuo amore, perché essa completamente da quell'amore dipende. Non devo perciò temere il massimo dei mali, dal momento che il minimo di essi mi può causare la fine; esiste per me un più felice stato di questo continuo dipendere dai tuoi umori! Tu non puoi torturarmi con la tua incostanza, ne va della mia vita col tuo disdegno. Oh, quale titolo alla felicità posseggo: pago di avere il tuo affetto, contento di dover morire! C'è cosa tanto bella che non tema macchia? Tu potresti ingannarmi e io non saperlo.
Un amore felice
di Wislawa Szymborska
(† 1 febbraio
2012)
Un amore felice. È normale?
è serio? è utile?
Che se ne fa il mondo di due esseri
che non vedono il mondo?
Innalzati l'uno verso l'altro senza alcun merito,
i primi qualunque tra un milione, ma convinti
che doveva andare così - in premio di che? Di nulla;
la luce giunge da nessun luogo -
perché proprio su questi, e non su altri?
Ciò offende la giustizia? Sì.
Ciò infrange i principi accumulati con cura?
Butta giù la morale dal piedistallo? Sì, infrange e butta giù.
Guardate i due felici:
se almeno dissimulassero un po',
si fingessero depressi, confortando così gli amici!
Sentite come ridono - è un insulto.
In che lingua parlano - comprensibile all'apparenza.
E tutte quelle loro cerimonie, smancerie,
quei bizzarri doveri reciproci che s'inventano -
sembra un complotto contro l'umanità!
È difficile immaginare dove si finirebbe
se il loro esempio fosse imitabile.
Su cosa potrebbero contare religioni, poesie,
di che ci si ricorderebbe, a che si rinuncerebbe,
chi vorrebbe restare più nel cerchio?
Un amore felice. Ma è necessario?
Il tatto e la ragione impongono di tacerne
come d'uno scandalo nelle alte sfere della Vita.
Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.
Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la terra,
capita, in fondo, di rado.
Chi non conosce l'amore felice
dica pure che in nessun luogo esiste l'amore felice.
sempre sia il mio cuore aperto ai piccoli
uccelli che sono il segreto del vivere
qualsiasi loro canto è meglio del sapere
e gli uomini che non li sentono sono vecchi
sempre la mia mente vaghi affamata
intrepida assetata e agile
e anche s'è domenica il torto sia mio
ché se la gente ha ragione non è giovane
e che io non faccia mai nulla di utile
e il mio amore per te sia più che sincero
perché nessuno giammai fu così stolto
da non attirarsi con un sorriso il cielo
Sono uscito che i fiorai non avevano ancora aperto.
Ne ho fatta di strada, poi, nel corso della giornata,
ma un solo fioraio, ti giuro, non l'ho incontrato.
Non che ne avessi l'intenzione,
non che tu me lo avessi chiesto,
non che qualcuno me lo imponesse,
non che ci fosse qualche forza strana,
non che mi fossi svegliato con l'idea,
ma avrei voluto portarti un fiore.
E invece ho solo questo foglio
che puoi usare e colorare
e magari foggiare a forma d'un fiore.
Agli ospiti che devono partire...
di Rabindranath Tagore
Agli ospiti che devono partire
augura buona fortuna, e poi
cancella le orme dei loro passi.
Stringi al petto con un sorriso
ciò che è facile, semplice e vicino.
Oggi è la festa dei fantasmi
che non sanno quando moriranno.
La tua risata sia soltanto
una insensata allegria
come scintille di luce sulle onde.
La tua vita danzi lievemente
sul limitare del Tempo
come la rugiada
sulla punta d'una foglia.
Sulle corde della tua arpa
suona fuggenti melodie.
Mi hai messo al mondo, è vero,
in una vita che non mi accoglie, però,
in cui la costruzione di cui mi ero illuso
si è rivelata per quel che era,
fallace.
Poi, sì,
ho trovato la vita.
Ma adesso, come la corda di uno yo-yo,
ne ho perso il capo, forse spezzato,
forse solo invisibile
al momento.
Ma il tormento rimane
e non so se il filo riappare.
E non so
se io riapparirò
sulle scale
da solo o a braccetto.
Però mi piacerebbe.
Allontanerei dubbi
e uscirei a comprare
il colore
per apporre sulla tela
la mia firma.
Un cuore
blu
disteso
sul rosso
di un amore
mai stato più vero.
Tu non mi caccerai via in nessun posto: non si respinge la primavera! Tu
non mi toccherai, nemmeno con un dito: troppo teneramente io canto verso il
sonno. Tu non mi diffamerai: il mio nome è acqua per le labbra! Tu non
mi lascerai: la porta è aperta, e la mia casa è vuota!
Per ricordare Lucio Dalla alcuni versi di una sua canzone che da quando avevo 14 anni non ho mai smesso di amare, ma solo di ascoltare.
Stella di mare (estratto)
[...]
Tu voli con me, tu voli con me
tu vola che si è alzato il vento
vento di notte vento che stanca
stella di mare come sei bella
come sei bella e come è bella
la tua pelle bianca, bianca bianca.
[...]
Tu come me, tu come me
ora non voli, si è fermato il vento
posso guardare la tua faccia stanca
e quando dormi come sei bella
come sei bella e come è bella
la tua pelle bianca bianca bianca!
Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.
Ho soffiato sulla candela che stava per spegnersi.
"Morirà e basta", ha detto l'uomo seduto al bar.
"Farà un fumo denso e nauseabondo", ha detto il bottegaio.
"Resterai al buio", ha detto l'infermiere.
"Dovrai spostarla sul davanzale", ha detto l'impiegato.
"Ti converrà rimpiazzarla", ha detto l'anziana del piano di sopra.
"Sbarazzatene e procurati un lampadario", ha detto la suora.
"Perché mai l'hai accesa?" ha chiesto l'idraulico.
"Compratene un'altra", ha detto il giornalaio.
"Che ti importa di una candela?" ha chiesto il portinaio.
E io ho soffiato sulla candela
e questa candela stava per spegnersi
e la candela non si è spenta.
La fiamma si è ravvivata
e sembrava nuova
e io ero felice
di aver avuto una candela che stava per spegnersi
e di aver potuto soffiarvi sopra.
nati così
in mezzo a tutto questo
tra facce di gesso che ghignano
e la signora Morte che se la ride
e mentre gli ascensori si guastano
e gli orizzonti politici si dissolvono
e il ragazzetto che riempie le buste al supermarket è laureato
e i pesci sporchi di petrolio sputano fuori la loro preda oleosa
e il sole è lì nascosto
noi siamo
nati così
in mezzo a tutto questo
in mezzo a queste guerre ragionatamente folli
in mezzo al vuoto spettacolo dei finestroni di fabbrica rotti
in mezzo ai bar dove le persone non si parlano più
in mezzo alle scazzottate che finiscono con coltelli e pistole
siamo nati in mezzo a tutto questo
tra ospedali così costosi che conviene lasciarsi morire
tra avvocati talmente esosi che è meglio dichiararsi colpevoli
in una nazione dove le prigioni sono piene e i manicomi chiusi
in un posto dove le masse trasformano i cretini in eroi di successo
siamo nati in mezzo a tutto questo
in mezzo a tutto questo ci muoviamo e viviamo
a causa di tutto questo moriamo
siamo ridotti al silenzio
castrati
corrotti
diseredati
per tutto questo
questa roba
ci inganna
ci sfrutta
ci piscia addosso
ci rende folli e perversi
ci trasforma in violenti
ci rende inumani
il cuore è annerito
le dita cercano la gola
la pistola
il coltello
la bomba
le dita vanno in cerca di un dio insensibile
le dita cercano la bottiglia
le pillole
qualcosa da sniffare
siamo nati in mezzo a questa morte dolorosa che incombe
siamo nati in una nazione che da sessant'anni accumula debiti
e che presto non potrà meanche pagare gli interessi su quei debiti
e le banche bruceranno
e i soldi saranno inutili
ammazzarsi per strada in pieno giorno non sarà più un crimine
resteranno solo pistole e folle di sbandati
la terra sarà inutile
il cibo diventerà un rendimento decrescente
l'energia nucleare finirà in mano alle masse
il pianeta sarà scosso da un'esplosione dopo l'altra
uomini-robot ormai radioattivi si tenderanno agguati
i ricchi e gli eletti scruteranno il mondo da piattaforme spaziali
l'inferno di Dante al confronto sembrerà un parco giochi per bambini
non si vedrà più il sole e sarà per sempre notte
gli alberi moriranno
morirà tutta la vegetazione
uomini radioattivi si nutriranno della carne di altri uomini radioattivi
l'acqua del mare sarà avvelenata
i laghi e i fiumi spariranno
la pioggia diventerà preziosa come l'oro
la puzza delle carcasse di uomini e animali si propagherà nel vento scuro
i pochi sopravvissuti saranno colpiti da nuove spaventose malattie
e le piattaforme spaziali saranno distrutte dall'attrito
dall'esaurirsi delle scorte
dall'effetto naturale del generale decadimento delle cose
e da tutto questo nascerà
il silenzio più incantevole che abbiate mai sentito
Ad alcuni piace la poesia
di Wislawa Szymborska
(† 1 febbraio 2012)
Ad alcuni –
cioè non a tutti.
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.
Senza contare le scuole, dove è un obbligo, e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille.
Piace –
ma piace anche la pasta in brodo,
piacciono i complimenti e il colore azzurro,
piace una vecchia sciarpa,
piace averla vinta,
piace accarezzare un cane.
La poesia –
ma cos'è mai la poesia?
Più d'una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
come alla salvezza di un corrimano.