martedì 31 gennaio 2012

Graffito #4

Ci colga il fulmine se, nonostante tutto, non meritiamo qualcosa.
Il problema è che cosa.

© 1989

lunedì 30 gennaio 2012

Improvvisazione #3

In questo luogo c'è follia,
c'è caos e ci sono teste
che non sono un tribunale
ma mille tribunali in una testa sola.

Questo mondo non tace mai
ma a volte pare che non l'ascolti.

Porgi, ti prego, l'orecchio
a una povera anima
sconvolta.

Guariscine una,
ne guarirai legioni.

Se siamo tessere di un domino
possiamo essere anche
pedine riscattate.

© G.M. Schmitt



domenica 29 gennaio 2012

Interludio #5

Nessun ricordo t'angustii...
di Omar Khayyâm

Nessun ricordo t'angustii del ieri passato,
E non gridare ancora per un domani non nato.
Non confidare in quello che già passò, che non venne.
L'Attimo passa felice, e non sprecare la Vita.

Omar Khayyâm, da "Quartine (Robâiyyât)", 1956
Traduzione di Alessandro Bausani
© 1956 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

Graffito #3

Quando il tempo pare nemico
la pazienza bussa alla porta:
il saggio le apre.

© 2012

Bacheca

Eri con me, ma eri altrove.
Eri qui, ma eri assente.
Mi accoglievi, ma vagavi.

Non chiedo spiegazioni,
non sai darne,
proprio come me.

Della stessa pasta
siamo fatti
che si fonde
per colorare.

© G.M. Schmitt

sabato 28 gennaio 2012

Cattivi in linea

Cattivi in linea,
ti strappano il cuore
e lo lanciano lontano.
Vedi sangue sprizzare
e non ti escono lacrime
perché non hai più il cuore.
Te l'hanno strappato
e l'hanno lanciato.
Lontano.

Forse bisognerebbe imparare a volare.
Non serve il cuore per farlo.
Ma quando si sa volare
si può giungere al cuore.

© G.M. Schmitt

venerdì 27 gennaio 2012

Interludio #4

Estratto da "Kafka sulla spiaggia"
di Haruki Murakami

Nakata dice di essere vuoto. Forse ha ragione. Ma allora che cosa bisognerebbe dire di me? Lui ha detto di essere diventato così in seguito a un incidente avvenuto quando era piccolo. Ma io non ho neanche la scusa dell'incidente. Perciò, se lui è vuoto, allora io cosa sono? Almeno Nakata ha qualcosa che mi ha spinto a seguirlo fin qui nello Shikoku. Qualcosa di speciale. Anche se non capisco nemmeno io che cosa sia.
Hoshino ordinò un'altra tazza di caffè.
– Il nostro caffè le è piaciuto? – chiese il padrone del locale, un signore dai capelli bianchi. (Naturalmente Hoshino non poteva saperlo, ma si trattava di un ex funzionario del ministero della Pubblica istruzione. Dopo essere andato in pensione, era tornato a Takamatsu, che era la sua città natale, e aveva aperto quel locale dove serviva un buon caffè con sottofondo di musica classica).
– Squisito. Un ottimo aroma.
– Sono io stesso a tostarlo, scegliendo i chicchi a uno a uno.
– Ecco perché è così buono.
– La musica non le dà fastidio?
– La musica? – chiese Hoshino. – No, è una bellissima musica. Non mi dà affatto fastidio, anzi. Chi è che suona?



– È il trio Rubinstein, Heifetz e Feuermann. A quei tempi lo chiamavano il Million Dollar Trio. Erano dei grandi artisti. È una vecchia registrazione del '41 ma non ha perso il suo fulgore.
– È vero. Le cose buone non invecchiano.
– Ci sono anche persone che del Trio dell'Arciduca preferiscono interpretazioni più strutturate, classiche, come quella dell'Oistrach Trio.
– No, a me piace questa, - disse Hoshino. - La trovo... non so come dire, dolce.
– Grazie, – disse il padrone, a nome del Million Dollar Trio. Dopo che si fu ritirato, Hoshino, sorseggiando la seconda tazza di caffè, riprese il filo delle sue riflessioni.
Ma adesso, per quello che posso, sto aiutando Nakata. Posso leggere per lui, e sono stato io a trovare la pietra. Essere di aiuto a qualcuno non mi dispiace per niente. E credo che sia la prima volta nella mia vita che provo una sensazione del genere. È vero, ho trascurato il lavoro, sono venuto fin quaggiù e mi sono lasciato trascinare in una serie di cose di cui non capisco un tubo, eppure non mi pento di nulla.
Come posso dire... sento di essere al posto giusto. Il problema di che cosa cavolo sono io, quando sono con Nakata, non me lo pongo nemmeno. Come paragone forse è un po' eccessivo, ma è quello che provavano i discepoli di Buddha, o di Gesù. Forse anche loro pensavano: "Quando sono con Buddha, sento di essere al posto giusto". Secondo me, più che paroloni come dottrina e verità, era questa sensazione a spingerli.

Haruki Murakami
da "Kafka sulla spiaggia"
Traduzione di Giorgio Amitrano
© Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

giovedì 26 gennaio 2012

La tua grazia mi basta

La tua grazia mi basta.
Poi farebbe bene sapere
che c'è qualcosa ancora.

La tua grazia mi basta.
Poi sarebbe bello sentire
che una voce t'è amica.

La tua grazia mi basta.
E ancora non rifiuterei d'avere
tra le costole il suo sorriso.

La tua grazia mi basta.
Non c'è altro.
Mi basta. Non sembra?
Però basta.

© G.M. Schmitt

martedì 24 gennaio 2012

Interludio #3

Tra la forma della vita e la vita...
di Emily Dickinson

Tra la forma della vita e la vita
grande è la differenza
come tra il liquore alle labbra
e il liquore nella bottiglia
questo – si conserva bene –
ma per un bisogno d'estasi
è meglio quello stappato –
lo so per aver provato

Emily Dickinson, da "Le stanze di alabastro", 1983
Traduzione di Nadia Campana
© Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino


Graffito #2

Se non riesci a abbattere un muro puoi scriverci sopra. E scavalcarlo.

© 2012

domenica 22 gennaio 2012

Improvvisazione #2

In memoria di un amico
(Carmelo C. † 17 gennaio 2012)

Distanza e tempo, amico,
non ci hanno mai separato,
se non sulla carta
se non sulle mappe
se non sui calendari.
Non è mai accaduto nel cuore.

Conosco persone ancora vive,
eppure sono morte.
La nostra genia è diversa:
in me sei vivo,

solo... senza più Jack Daniel's
solo... senza più Ozzy
solo... senza più la notte
al porto di Messina,

senza più la notte.


In altre circostanze considererei inascoltabile il brano proposto di seguito, ma lui amava Ozzy, Aerosmith e compagnia cantante e questa versione di "Tears in Heaven" mi sembra un buon modo per ricordarlo.

venerdì 20 gennaio 2012

Il tesoro dei tuoi occhi

Se andrai a dormire,
ali opaline,
buon riposo,
farfalla di seta fine.

Possano i tuoi sogni
portarti in cima al cielo

ma poi farti tornare,

stringendone nel pugno un pezzo
da donare
quando riaprirai
il tesoro dei tuoi occhi.

© G.M. Schmitt

So Many Roads #2

Nonostante i miei sforzi, limitati, non sono riuscito a scoprire l'esistenza di eventuali pubblicazioni di questo "anche poeta" che ho scovato per caso in rete, Dario Martinelli. La lirica che riporto, prelevata dal sito http://www.pikaia.euha vinto il secondo premio del "Secondo Concorso Internazionale per la Poesia Scientifica". Maggiori informazioni qui.

Io sono qui, tu dove sei?
o Ballata dell’etologia cognitiva
di Dario Martinelli

C’era un’ochetta, grigia e viennese
Oca per specie, non per pretese
Anser di nome, Anser di fatto
Sapeva tedesco e latino in astratto
Giunse il momento di schiuder le uova
Prese un microfono, audio a manetta
Un “Quack!” tipo Mina, altro che ochetta
I piccoli intesero, urlando in delay:
“Io sono qui – tu dove sei?”

C’era in Australia un uccello di raso
Vestito di blu, pensava vastaso
“Voglio una donna!” gridò felliniano
E chiese al catasto una copia del piano
In cerca d’azzurro, dall’una alle sette
Raccolse frammenti, mirtilli e mollette
Finì il pergolato con tre ghirigori
Si mise in vetrina, aggiunse dei fiori
La donna arrivò, un palmo di naso:
“Minchia che bravo, l’uccello vastaso!”
Felici e focosi, chiosaron lui e lei:
“Io sono qui – tu dove sei?”

C’era anche un’ape, più grossa di un gallo
Che dava la colpa alle righe ed al giallo
“Di nero soltanto, sarei un figurino!”
Ma intanto affogava le pene nel vino
La fecero scout, per ritrovar passo
Viaggiando e danzando andrà via tutto il grasso
Partì per i prati, ma scorse un vitigno
Bevve per ore e senza ritegno
Tornò in alveare e i numeri dette
E invece dell’8, danzò un diciassette
Fin quando le chiesero sul trentasei
“Noi siamo qui – tu dove sei ?”

C’era un gibbone, sapeva cantare
Sua moglie promise per sempre di amare
Scriveva per lei e cantavano assieme
Le gioie di coppia, platoniche o estreme
Un po’ nauseato, un altro gli disse
Ch’eran patetici più dei Jalisse
Ma lui non demorse, compose un gran brano
Un po’ blueseggiante, un po’ beatlesiano,
Fu un grande successo, in ogni top ten
Che tutti cantarono in coro il refrain
Dalle oche ai vastasi, dalle api agli atèi:
“Io sono qui – tu dove sei?”

© pikaia.eu

Interludio #2

Per quanto sta in te
di Constantinos Kavafis

E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro
in balía del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.

Constantinos Kavafis, da "Settantacinque poesie", 1992
Traduzione di Nelo Risi e Margherita Dalmàti
© Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino





giovedì 19 gennaio 2012

Freccia

Non ho più frecce nella mia faretra.
Non ricordo il tempo in cui ne avevo.
Passato.
Trascorso.
Andato.
Ora ricordo: avevo frecce al mio arco.

Forse ero un cavaliere, un tempo.
Ora sono il re degli straccioni.
Strascico.
Chiedo.
Voglio.
Sapevo colpire nel segno con il mio arco.

Non ho più frecce nella mia faretra.
Ho solo amore, grande come fede.

Non ho più un arco, non più.
Ho gettato via la faretra. Era vuota.

           Sono adesso un umano deposito
           di un immane sentimento.

Strascico.
Chiedo.
Voglio.

            Il mio cuore non è cacciatore.

Non più.
Mai più.
Per sempre.

Il mio cuore sa solo chiamare.
Non sa lanciarsi il mio cuore.
Non riesce a piangere, non riesce ad annullarsi.

            Guarda nella tua direzione, il mio cuore,
            e non può far altro
            che battere troppo forte.

© G.M. Schmitt

So Many Roads #1


Scoperto oggi grazie a una illuminante intervista per la radio svizzera (ReteDueGeronimo).

"Il letto per l'amore
è un campo di battaglia
del mistero:
vi dura la pace
nella guerra e nel conflitto,
più si è morti
più si vive meglio da risorti
e, colpendo,
ognuno
vuole essere trafitto".

© Giulio Einaudi editore, Torino

Prossimamente un interludio a lui dedicato.

mercoledì 18 gennaio 2012

Improvvisazione #1

disincanta
il gatto che accarezzi empatico
quando all'improvviso
(l'ha sempre fatto
– all'improvviso)
tira fuori le unghie
e graffia
e non la smetterebbe più
di affondare
le unghie
se non lo respingessi
al di là.

al di là delle carezze

al di là della tua vita in cui
per amore
l'accarezzavi
con amore

al di là

© 2012 G.M. Schmitt

Graffito #1

Troppe certezze smontano il cuore.

© 2010

Risparmi (Scerbanenco)

Risplendiamo insieme,
un'altra volta ancora.

E quando il buio
ci sorprenderà
avremo risparmi
di felicità.

© G.M. Schmitt

martedì 17 gennaio 2012

Se

Se esci di casa e hai paura
a muovere i passi sul marciapiede,
poggia il capo sulla mia spalla;
ci sono passato anch'io.

Se attendi il bus e tremi incerta
se i tuoi piedi ti ci porteranno su,
poggia il capo sulla mia spalla;
ci sono passato anch'io.

Se sollevi la cornetta asciugandoti il sudore
e temi che le lacrime le vedranno comunque,
poggia il capo sulla mia spalla;
ci sono passato anch'io.

Se ti prende l'ansia percorrendo il mercato,
che pure ha tante cose che adori,
poggia il capo sulla mia spalla;
ci sono passato anch'io.

Se
Se
Se
il tuo cuore ancora brama
che il cielo gli sorrida benevolo,
lascia la paura al suo creatore e
poggia il capo sulla mia spalla;
ci sono passato anch'io.

Percorro viali che non conoscono lampioni
e vedo luci che non sanno spegnersi,
adotto sogni che non possono morire
e colgo gemme che non possono rubarmi.

Se
Se
Se
sei stanca di sentire il rumore di me,
poggia il capo sulla mia spalla;
ci sono.

© G.M. Schmitt

Journey Through the Past #2


© G.M. Schmitt


Si vive ancora

Si vive ancora,
si nuoce,
si tenta.

Si vive ancora,
si ama,
si piange.

Si vive ancora,
si sente,
si tende una mano,
la si ritira,
la si pulisce dagli sputi,
la si tende di nuovo,
di nuovo, di nuovo, di nuovo.

Si vive ancora,
si ama.

© G.M. Schmitt

Journey Through the Past #1

    © G.M. Schmitt





lunedì 16 gennaio 2012

Spiegare

Non ho parole per
spiegar parole.

          Ho parole per
          spiegare vele e
          parole tante per
          spiegare ali.

Ma non ho parole per
spiegar parole.

© G.M. Schmitt

Interludio #1

io porto il tuo cuore in me (lo porto nel
di E. E. Cummings

io porto il tuo cuore in me (lo porto nel
mio cuore)non lo lascio mai (ovunque
vado tu vai,cara;e quel che faccio
io da solo lo fai tu,tesoro mio)
                                               non temo
fato(tu sei il mio fato,mia dolce) né
voglio il mondo (bella, mio mondo,mia fedele)
tu sei quel che luna sempre fu
e quel che un sole sempre canterà sei tu

qui sta il più grande segreto che nessuno sa
(qui l'intima radice e bocciolo e cielo
di un albero chiamato vita;che cresce
più alto di quanto anima speri e mente
celi) e questa meraviglia regge le stelle

io porto il tuo cuore (lo porto nel mio cuore)

E. E. Cummings, da "95 Poems", 1958
Traduzione di Mary de Rachewiltz
© 1974 e 1998 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino



domenica 15 gennaio 2012

Il peso delle parole

Se le parole
potessero essere pesate,
ecco, sarei leggero,
perché di rado
ne ho sprecate.

Niente giri vani,
non una cosa per un'altra,
alcun raggiro celato
dietro un sorriso,
dietro un rossore,
dietro una morte.

Se le parole
potessero essere pesate,
ecco,
quanto peserebbero le tue,
dietro le cui orme
mi trascino?

© G.M. Schmitt
da "Il fiore che non ti ho comprato", Edizioni Ulivo