martedì 27 novembre 2018

Non conterò le mie cose


Non conterò le mie cose,
non ne ho il tempo;
se e quando mi rivorrai
verrò a buttarle via.

Ma nel tuo processo
decisionale non scordare,
te ne prego, il rigattiere:
ha famiglia, è fertile
e ha bisogno di lavorare
(ma non sfasciare la famiglia,
sii solo buona!).

In quanto a me attenderò
in questo albergo;
non so dimenticarti
e nemmeno so odiarti,
so solo di crederti perché ti credi.

Per allora sarà di nuovo primavera,
non dovrò passare a prendere il cappotto
né a vedere per chi m'hai rimosso;
magari ti invierò un messaggio
solo per dirti che non importa più
(sebbene mi importi ancora)
e di gettare nel camino quel disco,
solo quello,
gli altri potete rivenderli.

© Mattia Schmitt

domenica 4 novembre 2018

Così avresti voluto che fosse

Così avresti voluto che fosse,
ma guardati intorno,
non è così.
E se ti guardi bene dentro
lo è ancor di meno.
Non c'è nulla da aggiungere,
non puoi toglier nulla.
Potresti sfregiarti semmai,
ma ti riconoscerebbe persino
la bimba di cui tu bimbo
t'innamorasti alle elementari.

Vieni con me,
non c'è nulla a destra,
nulla sulla sinistra,
solo un selciato davanti,
troppo impervio per quelle scarpe,
inadatto ai tuoi sogni,
che i piedi li han persino nudi.

© Giacomo Mattia Schmitt

lunedì 17 settembre 2018

Prigione


Del luogo in cui mi hai lasciato
non conoscevo le strade
e ancora adesso ho qualche difficoltà;
sto cominciando, però,
a memorizzare i punti di riferimento.
Ma per andare dove?

Avresti potuto vendermi come Giuseppe.
Hai preferito abbandonarmi come un cane d’estate.

Giro intorno e riconosco i luoghi, ormai,
e se sapessi come uscirne non saprei dove andare,
non più.

Ma mai, mai avrei creduto possibile
questa crudeltà.

Eppure devo credervi
e smettere di immaginare
una porta che si apre
gentile, si spalanca!
e mi accoglie
come l’ultimo dei regali.

Qui c’è l’insegna di un’osteria.
L’altra sera hanno gettato fuori
un ubriaco molesto.
Io non ci ho mai messo piede lì,
ma con l’ubriaco molesto ho raggiunto
un’altra insegna che ricordavo
e con l’ubriaco non più molesto
mi son seduto e l’ho ascoltato,
almeno per un po’.
Stava dicendo che si sarebbe ripreso
ciò che era suo
quando mi sono addormentato
con la testa sul tavolo
e ho sognato che mi cacciavi,
ma finivo in una specie di paradiso
dove mi consolavano e mi dicevano
che non avevo tutti i torti,
ma non li avevi nemmeno tu.

Mi ha svegliato il barista.
L’ubriaco non più molesto
non c’era più e nemmeno
la mia penna e il mio taccuino.
Ho pagato la consumazione
e son tornato a girare in tondo
per la città in cui m’hai abbandonato
e di cui conosco ormai
ogni insegna a menadito.

© Giacomo Mattia Schmitt

giovedì 26 luglio 2018

Tutte le volte che t’ho detto t’amo


Adesso bere sta mutando
in un atto generoso, sempre più
generoso

Il gatto non ha reputato sufficiente
l’indizio d’un rumore
volutamente soffocato
e non è accorso

Non c’è più niente
né di vivo né di morto
e nel flusso le
sigarette – stupida cosa –
son finite

Fai volare l’aquilone, papà,
fallo volare finché non capirò
perché vola
Ma se anche non dovessi
capirlo mai, fallo
volare, ti prego, da
dovunque, dovunque,
mi serve

Fai girare la trottola
finché puoi, finché un
altro bambino non se la prende
Lui aveva già un altro giocattolo
e tu avevi soltanto la trottola
che ora gira altrove

Dal nero al bianco
è un affanno
inutile e insensato
ribellarsi a sé stessi
inseguendo il
sogno dei soldatini

Non capirò mai quest’assenza d’amore

Ma accetto l’ipotesi
di questo accanimento

© G.M. Schmitt

giovedì 21 giugno 2018

La porta


Avrei mosso lo stesso quei due passi
verso la porta, ma con un senso diverso
e forse nuovo, di certo non trascinandomi,
spossato,
sulla melma indistinta dei nostri trascorsi

Avrei accompagnato me alla porta gentile
e a testa alta, sicuro del mio portamento
e felice quasi d'una spregiudicata
speranza
di aprirla al sole e al vento e al canto.

Non hai mai voluto che fosse così,
deduco
dallo sciocco pretesto da te addotto

Eppure eri entrata dalla finestra,
allora,
uccello libero di volare dentro e fuori.

Adesso te ne stai immobile,
invece,
nella gabbia che ti cresce intorno

e che tutto ingloba e confonde, anche
la porta,
a cui presto nessuno potrà più bussare.

© G.M. Schmitt

lunedì 11 giugno 2018

Quando infine tu hai deciso



che a me dovevi rinunciare
ti sei allontanata rapida,
ma fino all'ultima frazione di decibel
ho seguito immobile il ciaf ciaf
delle tue converse all star ancora
zuppe d'acqua per la recente pioggia
che gioioso avevo scambiato
per un nostro battesimo
o quantomeno un'acida benedizione.

Al tempo tutti quelli che conosco
- tranne la madre, no lei no -
han fatto sembianza
di portare il lutto per me, così,
perché era finita una mia cosa bella
e sulle prime vi ho creduti tutti
e il vostro affetto, che a me allora
pareva carne e sangue
e invece era plasticoso,
mi diede persino l'illusione
che la mia disgrazia fosse più lieve,
che l'angoscia potesse, grazie a voi,
lasciare il posto a una tiepida malinconia.

Ma poi è venuta la notte,
luna piena e chissà se benigna,
e vi ho rivisto meglio, o così ho creduto,
nel mero ricordo.
E, venuto meno il sonno,
mi son seduto al mio scrittoio
per esaminarvi meglio a uno a uno,
ora da voi non visto,
e quel che ho visto mi ha trafitto il cuore.

Vi voglio bene lo stesso, però,
uno per uno così come siete,
ma lasciate, vi prego,
che io non sappia mai
che non lo avete fatto per me,

ma solo perché troppo pigri
per rimodellare un'immagine,
dannata ma cara,
e per non dover dare spiegazioni
ai vostri figli di quella foto
in cui mi avete colto sorridente.

Non partirò più, forse,
per viaggi da cui far ritorno,
ma anche quando avrò messo piede
sull'ultimo treno sognerò
e voi e il volo e questa mia tristezza
che mai avete lasciato tracimare,
vigili sempre, attenti e premurosi
a non evocar tragedia.

Ve ne son grato, adesso,
come ve ne sarò grato allora
e ora come allora soltanto
un suono pretendo che sia mio:

quello di braccia che infrangono l'onda
che non torna più alla spiaggia
ma si fa silente e svanisce,
lentamente, cullata dalla melodia
di altre bracciate che ancora e ancora
smuovono montagne d'acqua
e continueranno a smuoverne
soltanto per la gioia di ascoltarne,
di nuovo,
la musica.

© Mattia Schmitt

domenica 25 marzo 2018

Nello stesso mondo 2018


Se ti va di volare,
i bimbi appesi alle tue braccia stese,
su campi e nubi e stratosfera.
Se vuoi sparire tra i flutti
d'un mare finalmente ridente,
con i bimbi sulla tua scia.
Se vuoi ancora
più cielo, più mare, più gioia,
sfinendoti pur di trovarne.
Se un giorno ti volterai,
a destra o a sinistra,
io non lo so,
non domandarti come mai,
confessati che lo sai
e ne sei felice,
magari anche perché
siamo nello stesso mondo.
© G.M. Schmitt

martedì 2 gennaio 2018

Non ti chiedo se m'ami

Non ti chiedo se m'ami:
le parole rimbalzano
e si fanno male con poco,
meglio intuirle e preservarne il tesoro.

Ma ti scrivo t'amo,
lo sussurro, a volte,
e spero che tu attenda,
per quell'attimo che occorre
a parole così fragili
di affondare nell'anima.

Custodite in te,
lì nel tuo cuore,
le so al sicuro

e come manna

che giorno per giorno mi nutre,
che ogni giorno si dona.


© G.M. Schmitt