che a me dovevi rinunciare
ti sei allontanata rapida,
ma fino all'ultima frazione
di decibel
ho seguito immobile il ciaf
ciaf
delle tue converse all star
ancora
zuppe d'acqua per la
recente pioggia
che gioioso avevo scambiato
per un nostro battesimo
o quantomeno un'acida
benedizione.
Al tempo tutti quelli che
conosco
- tranne la madre, no lei
no -
han fatto sembianza
di portare il lutto per me,
così,
perché era finita una mia
cosa bella
e sulle prime vi ho creduti
tutti
e il vostro affetto, che a
me allora
pareva carne e sangue
e invece era plasticoso,
mi diede persino
l'illusione
che la mia disgrazia fosse
più lieve,
che l'angoscia potesse,
grazie a voi,
lasciare il posto a una
tiepida malinconia.
Ma poi è venuta la notte,
luna piena e chissà se
benigna,
e vi ho rivisto meglio, o
così ho creduto,
nel mero ricordo.
E, venuto meno il sonno,
mi son seduto al mio
scrittoio
per esaminarvi meglio a uno
a uno,
ora da voi non visto,
e quel che ho visto mi ha
trafitto il cuore.
Vi voglio bene lo stesso,
però,
uno per uno così come
siete,
ma lasciate, vi prego,
che io non sappia mai
che non lo avete fatto per
me,
ma solo perché troppo pigri
per rimodellare
un'immagine,
dannata ma cara,
e per non dover dare
spiegazioni
ai vostri figli di quella
foto
in cui mi avete colto
sorridente.
Non partirò più, forse,
per viaggi da cui far
ritorno,
ma anche quando avrò messo
piede
sull'ultimo treno sognerò
e voi e il volo e questa
mia tristezza
che mai avete lasciato
tracimare,
vigili sempre, attenti e
premurosi
a non evocar tragedia.
Ve ne son grato, adesso,
come ve ne sarò grato
allora
e ora come allora soltanto
un suono pretendo che sia
mio:
quello di braccia che
infrangono l'onda
che non torna più alla
spiaggia
ma si fa silente e
svanisce,
lentamente, cullata dalla
melodia
di altre bracciate che
ancora e ancora
smuovono montagne d'acqua
e continueranno a smuoverne
soltanto per la gioia di
ascoltarne,
di nuovo,
la musica.
© Mattia Schmitt