martedì 29 ottobre 2013

Interludio #22

Preghiera tra la notte e il giorno
di Philippe Jaccottet

All’ora incerta in cui la muta dei fantasmi
fa ressa alle finestre, e in gran subbuglio
per un’esitazione tra ombra e giorno
minaccia bisbigliando la chiarezza,

un uomo prega: gli è distesa accanto
la splendida guerriera inerme e nuda;
poco distante giace il loro erede,
tenendo stretto come stelo il tempo.

“Una preghiera dentro la paura, ardua
a esaudire,
specie senza soccorso dall’esterno;
una preghiera
detta dentro il crollo delle città,
la fine della guerra, i morti in folla:

perché la dolce aurora, la tenace,
la luce quando giunge sui crinali,
se allontana
la lieve luna, così anche la mia favola
cancelli,
e veli del suo fuoco anche il mio nome”.

(Traduzione di Fabio Pusterla)

venerdì 25 ottobre 2013

La missione

Il vecchio non ha più nulla da dire. Si alza e scosta le tendine per lasciarsi abbagliare dagli ultimi raggi di un sole primaverile. Il figlio ne segue i movimenti, poi scosta lo sguardo, si toglie gli spessi occhiali da miope e si stropiccia gli occhi. Troppa luce, pensa, la luce forte del tramonto, dritta negli occhi, non ancora, non ancora...
Il vecchio si volta verso il figlio, si poggia con le mani allo schienale della sedia e sorride salutandolo. “Bisogna che tu vada, figliolo. A casa ti aspettano moglie e figlia e non sei mai stato capace di guidare col buio”.
Sì, papà, vado, vado. Riguardati e ricordati di chiamarmi per qualsiasi cosa”. Si abbracciano velocemente, senza aggiungere parole. Poi il figlio raccoglie i suoi appunti, si infila il soprabito, va alla porta ed esce richiudendola dietro di sé senza più voltarsi.

Guida piano sulla strada costiera che questa sera ha preferito all’autostrada. Di tanto in tanto getta uno sguardo sul tramonto, ma lo distoglie subito. Preferisce guardare il mucchietto di fogli sul sedile accanto a sé, gli appunti raccolti in quella giornata passata con suo padre, meno tristi di un tramonto.
Ha già avvisato la moglie che probabilmente avrebbe fatto tardi. E poi ha la piccola a farle compagnia. Potrebbe ancora chiamarla col cellulare, ma dicendole che è già in viaggio alimenterebbe solo la sua ansia. Non ha voglia di accelerare sapendola preoccupata. Vuole andare avanti lentamente, lasciar passare il tramonto, posteggiare con la luna. Non è stanco. Ha l’impressione di aver vissuto una vita intera in un giorno, ma non ne sente la stanchezza. Dopo tutto lui l’ha vissuta solo di riflesso. Non così chi quella vita l’ha coltivata e l’ha vista evolversi e l’ha sentita arricchirsi, riempirsi, appesantirsi. Ha stupito entrambi. Ma quel tramonto non apparteneva a lui e gli faceva paura.
Il mare comincia a gonfiarsi. Non c’è gente sulla costa, non ci sono barche al largo. E non c’è traffico sulla strada. E il silenzio è tale da permettergli di sentire il vicino scrosciare delle onde, sempre più insistente, sempre più ansioso. Chiude i finestrini perché un foglio ha già preso il volo. Non si ferma a rincorrerlo, ma non vuole perdere altri appunti, la vita in un giorno.
Accende la radio e sente notizie di guerra. Si chiede perché lui è stato risparmiato mentre tanti altri suoi simili dai nomi che non è capace di pronunciare sembrano nati per patire la follia delle armi. Spegne la radio e schiaccia l’acceleratore. Ma è giusto un attimo. Si ricompone, rallenta, velocità da crociera, allunga una mano e accarezza i suoi fogli e immagina di accarezzare la morbida barba del padre.
Pensa a sua moglie e alla bambina e le immagina davanti al televisore a guardare forse la guerra o forse altre vite oppure a ridere di battute che non sapranno raccontargli perché le avranno dimenticate. Stacca la spina. Accarezza di nuovo i fogli, li guarda, accarezza ancora la barba bianca e profumata. Si sente a casa, per un attimo. Non davanti al televisore che fa piangere e che fa ridere e che non ti dice mai che il tramonto è lì dietro l’angolo. Si sente a casa da suo padre. E gli accarezza la barba e vorrebbe inzupparla di lacrime e per esse confidare a quella lana un amore che non ha mai saputo esprimere con le parole.
Cominciano a fargli male gli occhi. Ha ragione il padre. Non ha mai saputo guidare con il buio. Accosta e ferma l’auto. Giusto il tempo di togliersi gli occhiali e pulirli, passarsi il fazzoletto sul viso, estrarre la pipa dal vano portaoggetti, accenderla e soffiare il fumo aromatico nell’abitacolo dell’automobile. Fa qualche tiro, poi ripone la pipa e riparte. Aveva bisogno di quel gesto come di una vitamina. Nessun motivo recondito, nessuna ambizione elitaria, nessuna pretesa alchemica. Solo un gesto che non allontana il tramonto, ma che aiuta a procedere più sereni. Come una vitamina. Sorride al pensiero della libertà che si sta prendendo. Per qualche istante si sente appagato in quel limbo stradale, tra il mare e la boscaglia, il padre con il suo tramonto alla finestra e la moglie e la figlia a ridere o piangere davanti al televisore. Un’auto lo supera, poi rallenta, accosta, si ferma. Ne scende una donna che gli fa cenno che qualcosa non va. Rassegnato accosta anche lui, scende e va incontro alla donna.
Mi scusi, ma c’è qualcosa che non va al motore. Lei ne capisce qualcosa?” È piacente, giovane e sposata, a giudicare dalla fede. Sarebbe bello poter essere d’aiuto, ma lui non capisce niente di motori e lo ammette apertamente. “È inutile che apra il cofano, mi dispiace, non ci capisco proprio nulla di motori. Posso però farle telefonare”, le dice allungandole il cellulare. La donna ringrazia sorridendo e gli volta le spalle per chiamare. Dopo qualche minuto gli restituisce l’apparecchio con un altro sorriso. “È tutto a posto, grazie. Un mio amico verrà a prendermi. Sarà qui tra pochi minuti. La ringrazio”. “Di niente”, replica lui. “Allora io vado. Mi ha fatto piacere conoscerla”. “Anche a me”, fa la donna e risale sull’auto accennando un saluto. Lui sale a sua volta sulla sua auto e riparte. Prima di lasciarsela alle spalle, si ferma accanto all’altra auto e richiama la donna con un cenno. Lei abbassa il finestrino e pare infastidita. “Sì?” Lui ci ripensa, dimentica quel che voleva dirle, non sa più perché si è fermato. “Mi scusi, niente di importante”. Riparte prima di attendere una reazione. Non ci pensa più. Sarebbe facile rovinarsi la vita e rovinarla agli altri. Accarezza di nuovo i fogli e li invidia.

Pochi chilometri lo separano ormai da sua moglie, dalla figlia, dal televisore. Rallenta ancora per rimandare il più possibile l’arrivo. Si ferma di nuovo per pulire gli occhiali e fare qualche tiro di pipa. È tentato di scendere dall’auto ma si impone di rimanervi e, seppur lentamente, procedere. Il tramonto ha lasciato il posto a una splendida luna piena. Ma non può interessargli ora. Accarezza quei fogli e sente la pelle morbida di quel viso antico. Lo accarezza fino alle palpebre. Le sente umide di gioia. La strada costiera non è mai stata così compagna.

Vede un’auto sfrecciare in direzione contraria alla sua. Ripensa alla donna che gli ha chiesto aiuto e si immagina che quell’auto stia andando da lei. Immagina che non sia suo marito. Immagina che non sia solo un amico. Immagina troppo. L’auto avversaria è scomparsa dallo specchietto retrovisore e non c’è ragione perché ci pensi ancora. La strada e le ruote dell’auto sono amiche adesso. Lui è amico della strada. Non vuole altro.

Percorre quasi a passo d’uomo gli ultimi chilometri che lo separano dal vialetto della sua casa. Gli piace. Ha abbassato i finestrini. A quella velocità i fogli non volano più via. Li accarezza. Ecco il cancello. Si ferma un centinaio di metri prima. Parcheggia tra la macchina di un segretario comunale e quella di un rappresentante di prodotti dietetici. Rialza i finestrini, accende la luce interna e prende in grembo le carte. Non è stanco. Immagina moglie e figlia appisolate davanti al televisore con il sorriso suscitato dall’ultima battuta che le ha raggiunte. Ma è solo un attimo, quello che basta per non preoccuparsene più. Prende in mano le carte e comincia a leggere qua e là, sprazzi di una vita, chiazze di luce. Accende la pipa.

...non piacciono a nessuno i castighi, figurati a un bambino vivace com’ero io. Saltai fuori della finestra, ma trovai i rovi e lo sterco delle bestie. E il tetano... Ero diventato un pezzo di legno, così mi hanno detto poi. Che sarei dovuto morire, mi hanno detto. Che il mio sudore aveva arrugginito i rompicapo di ferro che qualcuno mi aveva regalato, mi hanno detto. Che hanno pregato e pregato e pregato, mi hanno detto. Che sono guarito, mi hanno detto. Che Dio mi aveva guarito. E a questo ci ho creduto con tutto il cuore. Sei figlio di un miracolo...

Trema pensando alla possibilità che la sua vita non fosse mai stata concepita. Non avrebbe avuto neanche la coscienza d’essere necessaria per odiare il responsabile di una simile evenienza. Ha tanti amici che non avrebbe se solo fossero nati qualche anno prima e suo padre è stato miracolato. Pensa che l’uomo senza magia è solo un cancro che viene per andarsene. Un uomo senza fede è un miracolo senza coscienza d’essere. Piange di gioia. Si toglie gli occhiali. Dio ha permesso a suo padre di crearlo. Un tiro di pipa. La vita è bella.

Non ero il miglior guardiano di oche sul mercato, questo è certo, ma cercavo di fare del mio meglio. Ma si vede che non andavo a genio a quelle bestie. Un giorno mi hanno attaccato. Poi le ho pure capite. Ho cercato di capirle, di comprenderle. Ma sul momento le ho odiate. Non sapevo che cosa volessero da me. Per questo mi hanno attaccato. Non ero entrato in sintonia con le loro esigenze. Forse non ci avevo messo abbastanza buona volontà. Dopo l’ho capito. Ero pieno di ferite, ormai, ma siamo andati d’accordo fino alla fine dell’estate...

Tutti gli animali che i suoi genitori gli hanno permesso di tenere in casa prendono ad affollargli la mente adesso. Quelli che ha trattato male, quelli in cui si era identificato, quelli che amava e che si è visto strappare via dalla follia di un automobilista, o dalla mente malata di un vivisezionista. Quante volte aveva pensato di essere come loro, di condividerne capricci e pretese, di poterli avversare da loro pari. Quando lo diceva in casa, suo padre gli rispondeva dolcemente di parlarne con sua madre. E sua madre gli diceva di ringraziare Dio perché le cose stavano come stavano. E lui ci tentava, ci tentava con tutto il cuore e a volte si adirava con Dio e lo combatteva e non vinceva mai. Ma il gatto continuava a dormire pacifico ai piedi del letto. E allora ringraziava Dio come voleva sua madre. E sapeva che suo padre aveva avuto ragione.

Scorre le carte, posando delicatamente accanto a sé fanciullezza, giovinezza, innamoramento e amore. È esaltato dalla vita di quelle parole, ma sente l’esigenza di arrivare a toccare quella barba antica, prima che l’incanto finisca, prima che sia troppo tardi per indugiare in auto.

Un giorno avevo un appuntamento con tua madre, ma lei tardava... Entrai in una chiesa e, e incontrai Dio. Non era la chiesa, no. C’era un uomo che cantava. Ti sei mai chiesto perché amo così tanto la musica, perché riesco ad apprezzare allo stesso tempo quelle cassette di blues che mi mettevi in macchina e il coro degli alpini e le campane di Marchirolo e i canti delle tonnare e le cantate di Bach e le arie di un tenore? Dev’essere nato lì. Quel cantante aveva un gran voce. Decisi che doveva accompagnare la mia vita. Ma non l’ho mai più risentito. Cantava inni cristiani e ciò aveva la sua importanza, ma avrebbe potuto cantare anche canzoni da bettola e il risultato non sarebbe cambiato di molto. Lì ho capito che un uomo può glorificare Dio con ciò che di Dio ha dentro. E non l’ho mai più dimenticato. Uscito da quella chiesa ho trovato tua madre ad attendermi. Le ho chiesto di sposarmi. Non era arrabbiata perché l’avevo fatta attendere...

Guarda l’orologio e decide che c’è ancora tempo. In caso di necessità lo chiamerebbero sul cellulare. La luna piena gli fa venire voglia di tornare sulla costa e percorrerne un tratto a piedi, ma respinge l’idea. Ha una vita tra le mani e sente il bisogno di viverla adesso.

Quando mio fratello è morto non sono riuscito a incolpare la guerra, né Stalin, né Hitler, né Dio. Ma se c’è qualcosa che aspetto ancora di capire è proprio questo: la sua morte, la guerra, Stalin e Hitler. E, forse, per qualche verso anche Dio. Ma credimi, se me ne andrò prima, lo farò ringraziando Dio. Ho figli e nipoti a cui forse sarà concesso di saperne di più. E se alla fine dovessimo invece scoprire che era tutta una farsa, solo una farsa, allora ne rideremo tutti. Sì, un giorno ne rideremmo tutti. Ma sarà forse possibile far altro che riderne?

Ha una fitta allo stomaco. Si ricorda di non aver mangiato nulla dopo il pranzo col padre alla clinica. Trova una bottiglia d’acqua dietro il sedile e ne beve lunghe sorsate. Poi tira dalla pipa. Il fumo si spande. Lo riacchiappa a pieni polmoni. Si rilassa. Sorride stupidamente. Si allunga sul sedile. Posa alcuni fogli sul sedile, ne avvicina un altro agli spessi occhiali.

Hai preso sicuramente da me la passione per la scrittura. Ho scritto tante di quelle poesie. E pensare che tua madre non ha mai sopportato la poesia. Non ho mai capito perché. Ma le mie le leggeva e mi ringraziava ed era sincera. Quante di quelle poesie! Devi proprio aver preso da me... Che fine faranno? Hanno già vissuto. Non so se dureranno ancora, se mi sopravviveranno. Forse alcune le porterete nel cuore ancora a lungo, anche se non le avete mai lette. Altre finiranno di vivere con me. No... mi accompagneranno... Sono pezzi di me. Aggiungile a quegli appunti, se vuoi. La mia vita è anche lì...

Conserva in casa quaderni pieni delle sue poesie, ma non ha mai detto a suo padre che l’ha lette tante volte a sua figlia al posto delle favole, prima di spegnere la luce. Non gli ha mai detto che sua figlia continua a chiedergli di leggergliene. Non ha mai avuto il coraggio di dirgli che sua figlia non sa chi è il brutto anatroccolo e chi è Peter Pan, ma sa a menadito che cosa si prova a guardare la Madonna del Sasso anche se non l’ha mai vista.

Ho scelto di lavorare per Dio perché mi aveva salvato la vita, mi aveva guarito, mi aveva dato un futuro e una speranza. Non mi sono mai pentito di questa mia scelta. Nemmeno tua madre. Non abbiamo mai avuto dubbi al riguardo. Ma qualsiasi lavoro onesto decidi di fare fa comunque bene a qualcuno. Non pentirti mai di aver dedicato del tempo a un lavoro che sul momento ti sembra ingrato. Se l’hai fatto con amore, qualcuno ne beneficerà comunque. Non pentirtene, ma ringrazia Dio. Puoi spaccarti la schiena, rovinarti la salute, sputare sangue per far vivere la tua famiglia, ma fallo per amore, confida in Dio e lo ringrazierai per averti concesso un letto su cui riposare al termine della giornata... E ricorda sempre che a chi molto è stato dato, molto sarà ridomandato...

Quante volte ha pensato che tutto fosse stato sempre troppo facile per lui! Quante di quelle ore ed energie perse a gettarsi fango addosso perché non aveva avuto le stesse difficoltà di altri! Eppure non avrebbe dovuto far altro che ringraziare e andare avanti. Come potrebbe avere la sfrontatezza di considerare un errore le fatiche del padre? Una vita non è mai quello che si paga, ma quello che si riceve e ci si sforza di amministrare al meglio per il bene comune. Tutto il resto è peso inutile.
Dovrebbe essere a dormire a quest’ora. La luna presto si stancherà di stare sulla breccia e lui si ritroverà stanco all’improvviso. Forse dovrebbe lasciar perdere suo padre e andare dalla sua famiglia. Ma la sua famiglia dorme e suo padre deve ancora parlargli.

Quante volte si pensa di aver fatto tanto per niente. Credi che io non l’abbia mai pensato? Che cosa credi che mi sia passato per la mente quando tu e i tuoi fratelli facevate di tutto per spezzare il cuore mio e di vostra madre? Eppure non ho mai potuto fare a meno di credere che c’è un piano perfetto dietro tutto quello che succede. Dietro una tragedia, dietro un lutto, dietro una vita che a volte sembra andare per la direzione opposta a quella che si desidera, dietro tutto c’è il piano perfetto di qualcuno che sa quanti capelli hai in capo, di chi sa quanti granelli di sabbia ci sono sulle spiagge di ogni oceano, di chi sa quanti bambini si addormentano ogni giorno per correre tra le sue braccia... Tu hai sempre pensato che fosse naturale per me e tua madre vivere la nostra vita all’insegna di Dio, consacrati a farlo conoscere a tutti coloro che potevamo raggiungere. Non è stato naturale. L’abbiamo scelto. E spesso abbiamo combattuto per decidere che fosse ancora quello il nostro compito nel mondo. Ma ogni volta finivamo per ringraziarlo per quello che ci permetteva di fare. Avevamo difficoltà, motivi di rabbia, spesso eravamo tentati dal rancore, ma finivamo sempre per ringraziarlo. Lui ci ha indicato il bene. Lui ci ha donato la facoltà di perdonare. E lui, manco a dirlo, è sempre stato il primo a perdonarci e non ha mai smesso di migliorarci. Quando tua madre, un tempo, si è ammalata, non ha mai avuto un pensiero polemico verso Dio. Lo ringraziava per averla messa in grado di fare quello per cui era stata messa al mondo. È stata contagiosa. La sera in cui me ne parlò - ma l’avevo già capito prima da quello che faceva e che era nonostante la malattia - ci mettemmo a cantare insieme, sottovoce, un inno di lode a Dio, lei distesa, io al suo capezzale... e continuammo a farlo da allora...

Non è stato sempre facile sorridere e dire grazie, quando sapevi che loro ci avevano messo il cuore nel farti un dono mentre il tuo cuore era distante quando lo stringevi tra le mani... Si stropiccia gli occhi, il figlio, forse è ora di andare. Gli cadono gli occhiali di mano. Li raccoglie, ma non se li rimette. Si chiede se suo padre stia dormendo a quest’ora, o se stia ripensando a tutto quello che gli ha detto. Sorride figurandosi il suo viso fiero e buono. La bontà, già. In un mondo dove il male lo si veste da bene e il bene passa per male che ci faceva suo padre? Giusto nel giusto, anche lui aveva dovuto piangere vedendo eserciti in putrefazione fare a brandelli ciò che non sarebbe mai morto.

Ho sempre cercato di riconoscere il bene in qualsiasi cosa, qualsiasi posizione, qualsiasi evento, ma ciò non vuole dire che abbia mai pensato che i concetti di bene e di male fossero relativi. Vedi, io non ho consacrato la mia vita a un ideale, no. Tutto quello che ho sempre tentato di fare è stato mostrare la realtà e dire che è possibile fare le scelte giuste ed esserne benedetti. A qualcuno quella realtà è parsa subito bella, ma in tanti l’hanno trovata sgradevole. Mi hanno accusato di proselitismo, di bigottismo, di ingenuità e di tant’altro ancora, ma non mi pento di aver sempre parlato chiaro, non potendo tacere la verità che conoscevo. Non mi sono mai vergognato di Cristo e della sua parola, anche se spesso era scomodo per me, per tua madre, per voi figli. Ma se una cosa è vera non cambia nulla rifiutarsi di credervi...

Manca qualcosa, qui. Cerca tra le carte la continuazione, ma non la trova. Quel foglio che gli è stato portato via dal vento. Doveva essere quello. Sente il rimorso di non aver fatto abbastanza attenzione e cerca di ricordare che cosa il padre aveva aggiunto. Ma non ci riesce, è troppo teso. Aspira avidamente il fumo dalla pipa e ha una crisi di tosse. Beve un sorso d’acqua e torna ai suoi fogli.

Non mi meraviglia la malvagità dell’uomo. Mi ha spesso sorpreso, invece, il bene che alcuni mostrano di saper compiere senza secondi fini. Potrei farti dei nomi, ma non serve la pubblicità. Quello che conta è che c’è stato e grazie a Dio c’è ancora chi, sebbene affermi di non credere, un giorno si sentirà dire dal Cristo: “Va bene, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore”. Per qualcuno quest’idea contraddice le dottrine del cristianesimo biblico, ma che vuoi, non puoi cambiare la realtà delle cose...
C’è una gran confusione oggi. Si chiama il bene male e il male bene e ci si dimentica dei valori. Se parli di valori sei un reazionario oscurantista. Questo è sbagliato, figliolo. Il progresso vero dell’umanità è basato sui valori. Che cosa ha prodotto il relativismo morale? Dimmi che bene ha fatto all’umanità, dimmelo. Ma non voglio discutere, voglio vedere, vedere ancora qualcuno che ha il coraggio di fare il bene e di difenderlo... Io non ho mai smesso di credere che quello che abbiamo insegnato a te e ai tuoi fratelli servirà a portare un po’ di bene in questo mondo... Proprio ieri è venuto qui un ragazzo a trovare suo padre. Era accompagnato da un suo amico. Non sapeva che dire, e non lo sapeva neanche l’altro. Saranno stati lì un’ora a tenere compagnia al vecchio. Poi, mentre se ne andavano, ho sentito l’amico dire a quel ragazzo: “Certo, però, che tu sei buono. Vieni qui, fai compagnia a tuo padre... Ce ne fossero di più come te!” Sai come ha reagito il ragazzo? Si è messo a sogghignare e ha detto: “Buono io? Ma scherzi! Non hai idea di quante ne combino!” Ne avevo sentite tante, ma difendersi dall’accusa di bontà no, questo non lo credevo possibile...

È all’ultimo foglio. Lo spiega bene davanti a sé e si immagina la voce del padre. Si stropiccia gli occhi e li sente umidi. No, non vuole piangere, ma non sa fare altro adesso. Si lascia andare, ma è per poco. Quanto basta. Anche le lacrime come una vitamina. Per andare avanti, per non restare nel fosso in cui si è inciampato, per continuare a sapere.

Quanto durerò ancora? Lo sa solo Dio. Ma non ho rimpianti. Sono soddisfatto. Ho tutti i miei anni in questi attimi che stiamo passando insieme e non ci sono rimpianti. Ti parlo, ti ascolto, godo sereno la tua presenza. Potrei andare a caccia di cose da rimpiangere, ma perché? Questi momenti non ne hanno dissepolte. Se è a questo che sono arrivato vivendo, non posso avere rimpianti...
Di una cosa sono certo. Andrò in cielo. Continuerà, per grazia di Dio, solo per grazia, continuerà... Ma qui avrò vissuto una vita intera, figliolo, non un giorno di meno, come per te, come per tutti. Ricorda, figliolo, Dio ci ha donato una vita intera, tutto il tempo che ci è necessario per portare a termine la missione...

Sente rompersi la quiete della notte. Un’auto si avvicina, rallenta, guarda dentro la sua, accosta, si ferma. Scende una donna, quella incontrata mentre tornava a casa. Quella che aveva bisogno di una riparazione o di un uomo. Quella che di qualcosa aveva bisogno. Bussa al suo finestrino. Non la guarda. Continua a leggere, veloce, vorace, come se fossero le ultime parole che potrà mai carpire al padre.

Quando morì la tua gatta non me la presi con Dio. Anzi lo ringraziai perché anche tu decidesti di assolverlo. Ti chiedevi come mai te l’avesse portata via nonostante le tue quotidiane preghiere perché la proteggesse. Poi mi dicesti che avevi capito e mi facesti l’uomo più grato del mondo. Ricordi? Dicesti che avevi deciso di credere che Dio l’avesse comunque protetta in qualche modo imperscrutabile, che il Dio che sa quanti capelli hai in testa e quanti granelli di sabbia ci sono nelle sue spiagge, sa certo meglio di te come esaudire le tue preghiere. Ti fidasti di lui. Decidesti di farlo. Dio aveva esaudito me e tua madre. Pienamente.

La donna ha le nocche rosse a furia di battere contro il finestrino. Finalmente la degna di uno sguardo. Suda, si sente fuori posto, vorrebbe riuscire a desiderare di essere in casa, a letto, a riposo. Non lo è e abbassa il finestrino.
Finalmente! Certo, è normale che uno se ne stia a leggere in macchina in mezzo alla notte mentre qualcuno rischia di frantumargli il finestrino a furia di bussare! No, mi scusi. È solo che... Beh, mi sono successe un paio di cose strane da quando l'ho incontrata per la strada qualche ora fa. Non so, ho trovato questo foglio... Non sapevo che era suo, eppure lo sapevo... Non so spiegarmi. Ma ho letto quello che c’era scritto. E poi sono ripartita, ho vagato senza meta fino a poco fa. Non so come possa essere successo, ma è successo. L’ho trovata. Qui in macchina a leggere invece di starsene a casa a dormire. È normale, no? ...no, no che non è normale. Beh, tenga questo foglio, non so nemmeno se è suo, eppure lo so, tenga...”
Oh, grazie, grazie”, biascica lui e non sa se ridere di gioia, arrossire di imbarazzo o adirarsi per quell’intrusione. Ma ha il foglio che aveva perduto e lo accarezza come un tesoro che temeva perduto per sempre. Non sa dire altro e guarda il foglio e solleva lo sguardo verso la donna che continua a osservare ogni suo movimento. Nel suo sguardo scopre la curiosità di una bambina, la tristezza del peccatore, il dubbio ricco di chi ha visto la luce e sa che non può fermarsi prima di esserne inondato...
Ho molte domande”, dice la donna. “Ho molte domande che prima non avevo. Eppure so che troverò la risposta. Grazie a lei”. Poi gli volta le spalle, torna all’auto, mette in moto e si allontana. Avrebbe voluto dirle che avrebbe dovuto ringraziare suo padre, che la sua missione era riuscita, che non ci voleva poi molto, una volta che si sa che cos’è vero e che cosa non lo è... Avrebbe voluto dirle grazie. Ora può leggere il foglio che mancava.

L’indole di una persona si esprime spesso attraverso atteggiamenti apparentemente insignificanti. Una persona può dire di essere chi gli pare meglio, ma quello che è esce comunque fuori dalle piccole e piccolissime cose. Così non ho mai potuto fare a meno di apprezzare una persona che, uscendo un attimo prima di me da un negozio o da un locale, mi tiene la porta aperta anziché lasciarla a condividere il suo destino con quello del mio povero naso! D’altro canto non riesco a non piangere dentro e nutrire un’impotente pietà per chi sbandiera la propria supposta saggezza o illuminazione ai quattro venti e poi magari fa della sua vita un osceno inno all’egoismo... Una cosa è quello che si fa a sé stessi e un’altra è quello che ha un’influenza su altri... Non ha senso che io sbandieri a parole chissà quali virtù o esperienze spirituali e poi non mi dia alcuna pena per renderle reali nelle piccole cose di tutti i giorni. La coerenza dovrebbe avere precedenza su supposte virtù. Altrimenti non è che menzogna e falsità. E su queste basi solo guerre, da quelle in casa a quelle per le strade a quelle per i campi di battaglia. Ciò che un uomo è si vede anche da quello che fa.
Ho sempre cercato di mostrarmi umile, ho sempre cercato di farlo. Per le strade, per i mercati, per i negozi e sul lavoro: umile perché non sono di nulla migliore degli altri; umile perché ciò che ho di prezioso non vale proprio nulla se non lo metto umilmente a disposizione degli altri; umile perché solo così si può vedere l’amore che ciba il mio cuore e che vuole donarsi ad altri...
Ci sono stati momenti in cui ho avuto voglia di forzarmi, di decidermi a non credere. Ma avrei chiesto l’impossibile a me stesso. Forse te l’ho già detto altre volte, ma per me decidere di non credere più in Dio sarebbe come dire che il sole è un’illusione. Ne ho fatto l’esperienza. E non si tratta neanche dei benefici immensi che si ricavano dall’accettare questa realtà. È infatti una verità già presente, che lo si voglia o no. Se decidessi che non c’è il sole potrei considerare inutile mettere i panni fuori ad asciugare e quindi non farlo. Ma ciò non toglierebbe che mentre io sono in casa ad attendere che col tempo i miei vestiti si asciughino e io possa finalmente andare da qualche parte, là fuori il sole c’è comunque, che io lo voglia o no...

Sente ancora il puzzo dei gas di scarico dell’auto della donna. Non ha più rialzato il finestrino. Sporge il viso fuori e sorride alla luna, al silenzio, ai miliardi di minuscoli esseri viventi che gli stanno tenendo compagnia. Poi raccoglie i fogli, scende dall’auto e si avvia per il vialetto di casa sua.

Il televisore è spento. Nessuno dorme sul divano. Poggia le carte sul tavolo della cucina e va in camera da letto. La moglie dorme. Si spoglia e le si stende accanto. Lei non si sveglia. Si apre la porta della camera. La figlia gli si avvicina stropicciandosi gli occhi. “Torna a letto, tesoro”, le dice. “Domani dovrai andare a scuola. E finite le lezioni, finita la scuola, tornerai a casa”.

© G.M. Schmitt