Il vecchio
non ha più nulla da dire. Si alza e scosta le tendine per lasciarsi
abbagliare dagli ultimi raggi di un sole primaverile. Il figlio ne
segue i movimenti, poi scosta lo sguardo, si toglie gli spessi
occhiali da miope e si stropiccia gli occhi. Troppa
luce, pensa,
la
luce forte del tramonto, dritta negli occhi, non ancora, non
ancora...
Il vecchio si
volta verso il figlio, si poggia con le mani allo schienale della
sedia e sorride salutandolo. “Bisogna che tu vada, figliolo. A casa
ti aspettano moglie e figlia e non sei mai stato capace di guidare
col buio”.
“Sì, papà,
vado, vado. Riguardati e ricordati di chiamarmi per qualsiasi cosa”.
Si abbracciano velocemente, senza aggiungere parole. Poi il figlio
raccoglie i suoi appunti, si infila il soprabito, va alla porta ed
esce richiudendola dietro di sé senza più voltarsi.
Guida piano
sulla strada costiera che questa sera ha preferito all’autostrada.
Di tanto in tanto getta uno sguardo sul tramonto, ma lo distoglie
subito. Preferisce guardare il mucchietto di fogli sul sedile accanto
a sé, gli appunti raccolti in quella giornata passata con suo padre,
meno tristi di un tramonto.
Ha già
avvisato la moglie che probabilmente avrebbe fatto tardi. E poi ha la
piccola a farle compagnia. Potrebbe ancora chiamarla col cellulare,
ma dicendole che è già in viaggio alimenterebbe solo la sua ansia.
Non ha voglia di accelerare sapendola preoccupata. Vuole andare
avanti lentamente, lasciar passare il tramonto, posteggiare con la
luna. Non è stanco. Ha l’impressione di aver vissuto una vita
intera in un giorno, ma non ne sente la stanchezza. Dopo tutto lui
l’ha vissuta solo di riflesso. Non così chi quella vita l’ha
coltivata e l’ha vista evolversi e l’ha sentita arricchirsi,
riempirsi, appesantirsi. Ha stupito entrambi. Ma quel tramonto non
apparteneva a lui e gli faceva paura.
Il mare
comincia a gonfiarsi. Non c’è gente sulla costa, non ci sono
barche al largo. E non c’è traffico sulla strada. E il silenzio è
tale da permettergli di sentire il vicino scrosciare delle onde,
sempre più insistente, sempre più ansioso. Chiude i finestrini
perché un foglio ha già preso il volo. Non si ferma a rincorrerlo,
ma non vuole perdere altri appunti, la vita in un giorno.
Accende la
radio e sente notizie di guerra. Si chiede perché lui è stato
risparmiato mentre tanti altri suoi simili dai nomi che non è capace
di pronunciare sembrano nati per patire la follia delle armi. Spegne
la radio e schiaccia l’acceleratore. Ma è giusto un attimo. Si
ricompone, rallenta, velocità da crociera, allunga una mano e
accarezza i suoi fogli e immagina di accarezzare la morbida barba del
padre.
Pensa a sua
moglie e alla bambina e le immagina davanti al televisore a guardare
forse la guerra o forse altre vite oppure a ridere di battute che non
sapranno raccontargli perché le avranno dimenticate. Stacca la
spina. Accarezza di nuovo i fogli, li guarda, accarezza ancora la
barba bianca e profumata. Si sente a casa, per un attimo. Non davanti
al televisore che fa piangere e che fa ridere e che non ti dice mai
che il tramonto è lì dietro l’angolo. Si sente a casa da suo
padre. E gli accarezza la barba e vorrebbe inzupparla di lacrime e
per esse confidare a quella lana un amore che non ha mai saputo
esprimere con le parole.
Cominciano a
fargli male gli occhi. Ha ragione il padre. Non ha mai saputo guidare
con il buio. Accosta e ferma l’auto. Giusto il tempo di togliersi
gli occhiali e pulirli, passarsi il fazzoletto sul viso, estrarre la
pipa dal vano portaoggetti, accenderla e soffiare il fumo aromatico
nell’abitacolo dell’automobile. Fa qualche tiro, poi ripone la
pipa e riparte. Aveva bisogno di quel gesto come di una vitamina.
Nessun motivo recondito, nessuna ambizione elitaria, nessuna pretesa
alchemica. Solo un gesto che non allontana il tramonto, ma che aiuta
a procedere più sereni. Come una vitamina. Sorride al pensiero della
libertà che si sta prendendo. Per qualche istante si sente appagato
in quel limbo stradale, tra il mare e la boscaglia, il padre con il
suo tramonto alla finestra e la moglie e la figlia a ridere o
piangere davanti al televisore. Un’auto lo supera, poi rallenta,
accosta, si ferma. Ne scende una donna che gli fa cenno che qualcosa
non va. Rassegnato accosta anche lui, scende e va incontro alla
donna.
“Mi scusi,
ma c’è qualcosa che non va al motore. Lei ne capisce qualcosa?”
È piacente, giovane e sposata, a giudicare dalla fede. Sarebbe
bello poter essere d’aiuto, ma lui non capisce niente di motori e
lo ammette apertamente. “È inutile che apra il cofano, mi
dispiace, non ci capisco proprio nulla di motori. Posso però farle
telefonare”, le dice allungandole il cellulare. La donna ringrazia
sorridendo e gli volta le spalle per chiamare. Dopo qualche minuto
gli restituisce l’apparecchio con un altro sorriso. “È tutto a
posto, grazie. Un mio amico verrà a prendermi. Sarà qui tra pochi
minuti. La ringrazio”. “Di niente”, replica lui. “Allora io
vado. Mi ha fatto piacere conoscerla”. “Anche a me”, fa la
donna e risale sull’auto accennando un saluto. Lui sale a sua volta
sulla sua auto e riparte. Prima di lasciarsela alle spalle, si ferma
accanto all’altra auto e richiama la donna con un cenno. Lei
abbassa il finestrino e pare infastidita. “Sì?” Lui ci ripensa,
dimentica quel che voleva dirle, non sa più perché si è fermato.
“Mi scusi, niente di importante”. Riparte prima di attendere una
reazione. Non ci pensa più. Sarebbe facile rovinarsi la vita e
rovinarla agli altri. Accarezza di nuovo i fogli e li invidia.
Pochi
chilometri lo separano ormai da sua moglie, dalla figlia, dal
televisore. Rallenta ancora per rimandare il più possibile l’arrivo.
Si ferma di nuovo per pulire gli occhiali e fare qualche tiro di
pipa. È tentato di scendere dall’auto ma si impone di rimanervi
e, seppur lentamente, procedere. Il tramonto ha lasciato il posto a
una splendida luna piena. Ma non può interessargli ora. Accarezza
quei fogli e sente la pelle morbida di quel viso antico. Lo accarezza
fino alle palpebre. Le sente umide di gioia. La strada costiera non è
mai stata così compagna.
Vede un’auto
sfrecciare in direzione contraria alla sua. Ripensa alla donna che
gli ha chiesto aiuto e si immagina che quell’auto stia andando da
lei. Immagina che non sia suo marito. Immagina che non sia solo un
amico. Immagina troppo. L’auto avversaria è scomparsa dallo
specchietto retrovisore e non c’è ragione perché ci pensi ancora.
La strada e le ruote dell’auto sono amiche adesso. Lui è amico
della strada. Non vuole altro.
Percorre
quasi a passo d’uomo gli ultimi chilometri che lo separano dal
vialetto della sua casa. Gli piace. Ha abbassato i finestrini. A
quella velocità i fogli non volano più via. Li accarezza. Ecco il
cancello. Si ferma un centinaio di metri prima. Parcheggia tra la
macchina di un segretario comunale e quella di un rappresentante di
prodotti dietetici. Rialza i finestrini, accende la luce interna e
prende in grembo le carte. Non è stanco. Immagina moglie e figlia
appisolate davanti al televisore con il sorriso suscitato dall’ultima
battuta che le ha raggiunte. Ma è solo un attimo, quello che basta
per non preoccuparsene più. Prende in mano le carte e comincia a
leggere qua e là, sprazzi di una vita, chiazze di luce. Accende la
pipa.
...non
piacciono a nessuno i castighi, figurati a un bambino vivace com’ero
io. Saltai fuori della finestra, ma trovai i rovi e lo sterco delle
bestie. E il tetano... Ero diventato un pezzo di legno, così mi
hanno detto poi. Che sarei dovuto morire, mi hanno detto. Che il mio
sudore aveva arrugginito i rompicapo di ferro che qualcuno mi aveva
regalato, mi hanno detto. Che hanno pregato e pregato e pregato, mi
hanno detto. Che sono guarito, mi hanno detto. Che Dio mi aveva
guarito. E a questo ci ho creduto con tutto il cuore. Sei figlio di
un miracolo...
Trema
pensando alla possibilità che la sua vita non fosse mai stata
concepita. Non avrebbe avuto neanche la coscienza d’essere
necessaria per odiare il responsabile di una simile evenienza. Ha
tanti amici che non avrebbe se solo fossero nati qualche anno prima e
suo padre è stato miracolato. Pensa che l’uomo senza magia è solo
un cancro che viene per andarsene. Un uomo senza fede è un miracolo
senza coscienza d’essere. Piange di gioia. Si toglie gli occhiali.
Dio ha permesso a suo padre di crearlo. Un tiro di pipa. La vita è
bella.
Non ero il
miglior guardiano di oche sul mercato, questo è certo, ma cercavo di
fare del mio meglio. Ma si vede che non andavo a genio a quelle
bestie. Un giorno mi hanno attaccato. Poi le ho pure capite. Ho
cercato di capirle, di comprenderle. Ma sul momento le ho odiate. Non
sapevo che cosa volessero da me. Per questo mi hanno attaccato. Non
ero entrato in sintonia con le loro esigenze. Forse non ci avevo
messo abbastanza buona volontà. Dopo l’ho capito. Ero pieno di
ferite, ormai, ma siamo andati d’accordo fino alla fine
dell’estate...
Tutti gli
animali che i suoi genitori gli hanno permesso di tenere in casa
prendono ad affollargli la mente adesso. Quelli che ha trattato male,
quelli in cui si era identificato, quelli che amava e che si è visto
strappare via dalla follia di un automobilista, o dalla mente malata
di un vivisezionista. Quante volte aveva pensato di essere come loro,
di condividerne capricci e pretese, di poterli avversare da loro
pari. Quando lo diceva in casa, suo padre gli rispondeva dolcemente
di parlarne con sua madre. E sua madre gli diceva di ringraziare Dio
perché le cose stavano come stavano. E lui ci tentava, ci tentava
con tutto il cuore e a volte si adirava con Dio e lo combatteva e non
vinceva mai. Ma il gatto continuava a dormire pacifico ai piedi del
letto. E allora ringraziava Dio come voleva sua madre. E sapeva che
suo padre aveva avuto ragione.
Scorre le
carte, posando delicatamente accanto a sé fanciullezza, giovinezza,
innamoramento e amore. È esaltato dalla vita di quelle parole, ma
sente l’esigenza di arrivare a toccare quella barba antica, prima
che l’incanto finisca, prima che sia troppo tardi per indugiare in
auto.
Un giorno
avevo un appuntamento con tua madre, ma lei tardava... Entrai in una
chiesa e, e incontrai Dio. Non era la chiesa, no. C’era un uomo che
cantava. Ti sei mai chiesto perché amo così tanto la musica, perché
riesco ad apprezzare allo stesso tempo quelle cassette di blues che
mi mettevi in macchina e il coro degli alpini e le campane di
Marchirolo e i canti delle tonnare e le cantate di Bach e le arie di
un tenore? Dev’essere nato lì. Quel cantante aveva un gran voce.
Decisi che doveva accompagnare la mia vita. Ma non l’ho mai più
risentito. Cantava inni cristiani e ciò aveva la sua importanza, ma
avrebbe potuto cantare anche canzoni da bettola e il risultato non
sarebbe cambiato di molto. Lì ho capito che un uomo può glorificare
Dio con ciò che di Dio ha dentro. E non l’ho mai più dimenticato.
Uscito da quella chiesa ho trovato tua madre ad attendermi. Le ho
chiesto di sposarmi. Non era arrabbiata perché l’avevo fatta
attendere...
Guarda
l’orologio e decide che c’è ancora tempo. In caso di necessità
lo chiamerebbero sul cellulare. La luna piena gli fa venire voglia di
tornare sulla costa e percorrerne un tratto a piedi, ma respinge
l’idea. Ha una vita tra le mani e sente il bisogno di viverla
adesso.
Quando mio
fratello è morto non sono riuscito a incolpare la guerra, né
Stalin, né Hitler, né Dio. Ma se c’è qualcosa che aspetto ancora
di capire è proprio questo: la sua morte, la guerra, Stalin e
Hitler. E, forse, per qualche verso anche Dio. Ma credimi, se me ne
andrò prima, lo farò ringraziando Dio. Ho figli e nipoti a cui
forse sarà concesso di saperne di più. E se alla fine dovessimo
invece scoprire che era tutta una farsa, solo una farsa, allora ne
rideremo tutti. Sì, un giorno ne rideremmo tutti. Ma sarà forse
possibile far altro che riderne?
Ha una fitta
allo stomaco. Si ricorda di non aver mangiato nulla dopo il pranzo
col padre alla clinica. Trova una bottiglia d’acqua dietro il
sedile e ne beve lunghe sorsate. Poi tira dalla pipa. Il fumo si
spande. Lo riacchiappa a pieni polmoni. Si rilassa. Sorride
stupidamente. Si allunga sul sedile. Posa alcuni fogli sul sedile, ne
avvicina un altro agli spessi occhiali.
Hai preso
sicuramente da me la passione per la scrittura. Ho scritto tante di
quelle poesie. E pensare che tua madre non ha mai sopportato la
poesia. Non ho mai capito perché. Ma le mie le leggeva e mi
ringraziava ed era sincera. Quante di quelle poesie! Devi proprio
aver preso da me... Che fine faranno? Hanno già vissuto. Non so se
dureranno ancora, se mi sopravviveranno. Forse alcune le porterete
nel cuore ancora a lungo, anche se non le avete mai lette. Altre
finiranno di vivere con me. No... mi accompagneranno... Sono pezzi di
me. Aggiungile a quegli appunti, se vuoi. La mia vita è anche lì...
Conserva in
casa quaderni pieni delle sue poesie, ma non ha mai detto a suo padre
che l’ha lette tante volte a sua figlia al posto delle favole,
prima di spegnere la luce. Non gli ha mai detto che sua figlia
continua a chiedergli di leggergliene. Non ha mai avuto il coraggio
di dirgli che sua figlia non sa chi è il brutto anatroccolo e chi è
Peter Pan, ma sa a menadito che cosa si prova a guardare la Madonna
del Sasso anche se non l’ha mai vista.
Ho scelto
di lavorare per Dio perché mi aveva salvato la vita, mi aveva
guarito, mi aveva dato un futuro e una speranza. Non mi sono mai
pentito di questa mia scelta. Nemmeno tua madre. Non abbiamo mai
avuto dubbi al riguardo. Ma qualsiasi lavoro onesto decidi di fare fa
comunque bene a qualcuno. Non pentirti mai di aver dedicato del tempo
a un lavoro che sul momento ti sembra ingrato. Se l’hai fatto con
amore, qualcuno ne beneficerà comunque. Non pentirtene, ma ringrazia
Dio. Puoi spaccarti la schiena, rovinarti la salute, sputare sangue
per far vivere la tua famiglia, ma fallo per amore, confida in Dio e
lo ringrazierai per averti concesso un letto su cui riposare al
termine della giornata... E ricorda sempre che a chi molto è stato
dato, molto sarà ridomandato...
Quante volte
ha pensato che tutto fosse stato sempre troppo facile per lui! Quante
di quelle ore ed energie perse a gettarsi fango addosso perché non
aveva avuto le stesse difficoltà di altri! Eppure non avrebbe dovuto
far altro che ringraziare e andare avanti. Come potrebbe avere la
sfrontatezza di considerare un errore le fatiche del padre? Una vita
non è mai quello che si paga, ma quello che si riceve e ci si sforza
di amministrare al meglio per il bene comune. Tutto il resto è peso
inutile.
Dovrebbe
essere a dormire a quest’ora. La luna presto si stancherà di stare
sulla breccia e lui si ritroverà stanco all’improvviso. Forse
dovrebbe lasciar perdere suo padre e andare dalla sua famiglia. Ma la
sua famiglia dorme e suo padre deve ancora parlargli.
Quante
volte si pensa di aver fatto tanto per niente. Credi che io non
l’abbia mai pensato? Che cosa credi che mi sia passato per la mente
quando tu e i tuoi fratelli facevate di tutto per spezzare il cuore
mio e di vostra madre? Eppure non ho mai potuto fare a meno di
credere che c’è un piano perfetto dietro tutto quello che succede.
Dietro una tragedia, dietro un lutto, dietro una vita che a volte
sembra andare per la direzione opposta a quella che si desidera,
dietro tutto c’è il piano perfetto di qualcuno che sa quanti
capelli hai in capo, di chi sa quanti granelli di sabbia ci sono
sulle spiagge di ogni oceano, di chi sa quanti bambini si
addormentano ogni giorno per correre tra le sue braccia... Tu hai
sempre pensato che fosse naturale per me e tua madre vivere la nostra
vita all’insegna di Dio, consacrati a farlo conoscere a tutti
coloro che potevamo raggiungere. Non è stato naturale. L’abbiamo
scelto. E spesso abbiamo combattuto per decidere che fosse ancora
quello il nostro compito nel mondo. Ma ogni volta finivamo per
ringraziarlo per quello che ci permetteva di fare. Avevamo
difficoltà, motivi di rabbia, spesso eravamo tentati dal rancore, ma
finivamo sempre per ringraziarlo. Lui ci ha indicato il bene. Lui ci
ha donato la facoltà di perdonare. E lui, manco a dirlo, è sempre
stato il primo a perdonarci e non ha mai smesso di migliorarci.
Quando tua madre, un tempo, si è ammalata, non ha mai avuto un
pensiero polemico verso Dio. Lo ringraziava per averla messa in grado
di fare quello per cui era stata messa al mondo. È stata
contagiosa. La sera in cui me ne parlò - ma l’avevo già capito
prima da quello che faceva e che era nonostante la malattia - ci
mettemmo a cantare insieme, sottovoce, un inno di lode a Dio, lei
distesa, io al suo capezzale... e continuammo a farlo da allora...
Non è stato
sempre facile sorridere e dire grazie, quando sapevi che loro ci
avevano messo il cuore nel farti un dono mentre il tuo cuore era
distante quando lo stringevi tra le mani... Si stropiccia gli occhi,
il figlio, forse è ora di andare. Gli cadono gli occhiali di mano.
Li raccoglie, ma non se li rimette. Si chiede se suo padre stia
dormendo a quest’ora, o se stia ripensando a tutto quello che gli
ha detto. Sorride figurandosi il suo viso fiero e buono. La bontà,
già. In un mondo dove il male lo si veste da bene e il bene passa
per male che ci faceva suo padre? Giusto nel giusto, anche lui aveva
dovuto piangere vedendo eserciti in putrefazione fare a brandelli ciò
che non sarebbe mai morto.
Ho sempre
cercato di riconoscere il bene in qualsiasi cosa, qualsiasi
posizione, qualsiasi evento, ma ciò non vuole dire che abbia mai
pensato che i concetti di bene e di male fossero relativi. Vedi, io
non ho consacrato la mia vita a un ideale, no. Tutto quello che ho
sempre tentato di fare è stato mostrare la realtà e dire che è
possibile fare le scelte giuste ed esserne benedetti. A qualcuno
quella realtà è parsa subito bella, ma in tanti l’hanno trovata
sgradevole. Mi hanno accusato di proselitismo, di bigottismo, di
ingenuità e di tant’altro ancora, ma non mi pento di aver sempre
parlato chiaro, non potendo tacere la verità che conoscevo. Non mi
sono mai vergognato di Cristo e della sua parola, anche se spesso era
scomodo per me, per tua madre, per voi figli. Ma se una cosa è vera
non cambia nulla rifiutarsi di credervi...
Manca
qualcosa, qui. Cerca tra le carte la continuazione, ma non la trova.
Quel foglio che gli è stato portato via dal vento. Doveva essere
quello. Sente il rimorso di non aver fatto abbastanza attenzione e
cerca di ricordare che cosa il padre aveva aggiunto. Ma non ci
riesce, è troppo teso. Aspira avidamente il fumo dalla pipa e ha una
crisi di tosse. Beve un sorso d’acqua e torna ai suoi fogli.
Non mi
meraviglia la malvagità dell’uomo. Mi ha spesso sorpreso, invece,
il bene che alcuni mostrano di saper compiere senza secondi fini.
Potrei farti dei nomi, ma non serve la pubblicità. Quello che conta
è che c’è stato e grazie a Dio c’è ancora chi, sebbene affermi
di non credere, un giorno si sentirà dire dal Cristo: “Va bene,
servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore”. Per
qualcuno quest’idea contraddice le dottrine del cristianesimo
biblico, ma che vuoi, non puoi cambiare la realtà delle cose...
C’è una
gran confusione oggi. Si chiama il bene male e il male bene e ci si
dimentica dei valori. Se parli di valori sei un reazionario
oscurantista. Questo è sbagliato, figliolo. Il progresso vero
dell’umanità è basato sui valori. Che cosa ha prodotto il
relativismo morale? Dimmi che bene ha fatto all’umanità, dimmelo.
Ma non voglio discutere, voglio vedere, vedere ancora qualcuno che ha
il coraggio di fare il bene e di difenderlo... Io non ho mai smesso
di credere che quello che abbiamo insegnato a te e ai tuoi fratelli
servirà a portare un po’ di bene in questo mondo... Proprio ieri è
venuto qui un ragazzo a trovare suo padre. Era accompagnato da un suo
amico. Non sapeva che dire, e non lo sapeva neanche l’altro.
Saranno stati lì un’ora a tenere compagnia al vecchio. Poi, mentre
se ne andavano, ho sentito l’amico dire a quel ragazzo: “Certo,
però, che tu sei buono. Vieni qui, fai compagnia a tuo padre... Ce
ne fossero di più come te!” Sai come ha reagito il ragazzo? Si è
messo a sogghignare e ha detto: “Buono io? Ma scherzi! Non hai idea
di quante ne combino!” Ne avevo sentite tante, ma difendersi
dall’accusa di bontà no, questo non lo credevo possibile...
È
all’ultimo foglio. Lo spiega bene davanti a sé e si immagina la
voce del padre. Si stropiccia gli occhi e li sente umidi. No, non
vuole piangere, ma non sa fare altro adesso. Si lascia andare, ma è
per poco. Quanto basta. Anche le lacrime come una vitamina. Per
andare avanti, per non restare nel fosso in cui si è inciampato, per
continuare a sapere.
Quanto
durerò ancora? Lo sa solo Dio. Ma non ho rimpianti. Sono
soddisfatto. Ho tutti i miei anni in questi attimi che stiamo
passando insieme e non ci sono rimpianti. Ti parlo, ti ascolto, godo
sereno la tua presenza. Potrei andare a caccia di cose da
rimpiangere, ma perché? Questi momenti non ne hanno dissepolte. Se è
a questo che sono arrivato vivendo, non posso avere rimpianti...
Di una
cosa sono certo. Andrò in cielo. Continuerà, per grazia di Dio,
solo per grazia, continuerà... Ma qui avrò vissuto una vita intera,
figliolo, non un giorno di meno, come per te, come per tutti.
Ricorda, figliolo, Dio ci ha donato una vita intera, tutto il tempo
che ci è necessario per portare a termine la missione...
Sente
rompersi la quiete della notte. Un’auto si avvicina, rallenta,
guarda dentro la sua, accosta, si ferma. Scende una donna, quella
incontrata mentre tornava a casa. Quella che aveva bisogno di una
riparazione o di un uomo. Quella che di qualcosa aveva bisogno. Bussa
al suo finestrino. Non la guarda. Continua a leggere, veloce, vorace,
come se fossero le ultime parole che potrà mai carpire al padre.
Quando
morì la tua gatta non me la presi con Dio. Anzi lo ringraziai perché
anche tu decidesti di assolverlo. Ti chiedevi come mai te l’avesse
portata via nonostante le tue quotidiane preghiere perché la
proteggesse. Poi mi dicesti che avevi capito e mi facesti l’uomo
più grato del mondo. Ricordi? Dicesti che avevi deciso di credere
che Dio l’avesse comunque protetta in qualche modo imperscrutabile,
che il Dio che sa quanti capelli hai in testa e quanti granelli di
sabbia ci sono nelle sue spiagge, sa certo meglio di te come esaudire
le tue preghiere. Ti fidasti di lui. Decidesti di farlo. Dio aveva
esaudito me e tua madre. Pienamente.
La donna ha
le nocche rosse a furia di battere contro il finestrino. Finalmente
la degna di uno sguardo. Suda, si sente fuori posto, vorrebbe
riuscire a desiderare di essere in casa, a letto, a riposo. Non lo è
e abbassa il finestrino.
“Finalmente!
Certo, è normale che uno se ne stia a leggere in macchina in mezzo
alla notte mentre qualcuno rischia di frantumargli il finestrino a
furia di bussare! No, mi scusi. È solo che... Beh, mi sono
successe un paio di cose strane da quando l'ho incontrata per la
strada qualche ora fa. Non so, ho trovato questo foglio... Non sapevo
che era suo, eppure lo sapevo... Non so spiegarmi. Ma ho letto quello
che c’era scritto. E poi sono ripartita, ho vagato senza meta fino
a poco fa. Non so come possa essere successo, ma è successo. L’ho
trovata. Qui in macchina a leggere invece di starsene a casa a
dormire. È normale, no? ...no, no che non è normale. Beh, tenga
questo foglio, non so nemmeno se è suo, eppure lo so, tenga...”
“Oh,
grazie, grazie”, biascica lui e non sa se ridere di gioia,
arrossire di imbarazzo o adirarsi per quell’intrusione. Ma ha il
foglio che aveva perduto e lo accarezza come un tesoro che temeva
perduto per sempre. Non sa dire altro e guarda il foglio e solleva lo
sguardo verso la donna che continua a osservare ogni suo movimento.
Nel suo sguardo scopre la curiosità di una bambina, la tristezza del
peccatore, il dubbio ricco di chi ha visto la luce e sa che non può
fermarsi prima di esserne inondato...
“Ho molte
domande”, dice la donna. “Ho molte domande che prima non avevo.
Eppure so che troverò la risposta. Grazie a lei”. Poi gli volta le
spalle, torna all’auto, mette in moto e si allontana. Avrebbe
voluto dirle che avrebbe dovuto ringraziare suo padre, che la sua
missione era riuscita, che non ci voleva poi molto, una volta che si
sa che cos’è vero e che cosa non lo è... Avrebbe voluto dirle
grazie. Ora può leggere il foglio che mancava.
L’indole
di una persona si esprime spesso attraverso atteggiamenti
apparentemente insignificanti. Una persona può dire di essere chi
gli pare meglio, ma quello che è esce comunque fuori dalle piccole e
piccolissime cose. Così non ho mai potuto fare a meno di apprezzare
una persona che, uscendo un attimo prima di me da un negozio o da un
locale, mi tiene la porta aperta anziché lasciarla a condividere il
suo destino con quello del mio povero naso! D’altro canto non
riesco a non piangere dentro e nutrire un’impotente pietà per chi
sbandiera la propria supposta saggezza o illuminazione ai quattro
venti e poi magari fa della sua vita un osceno inno all’egoismo...
Una cosa è quello che si fa a sé stessi e un’altra è quello che
ha un’influenza su altri... Non ha senso che io sbandieri a parole
chissà quali virtù o esperienze spirituali e poi non mi dia alcuna
pena per renderle reali nelle piccole cose di tutti i giorni. La
coerenza dovrebbe avere precedenza su supposte virtù. Altrimenti non
è che menzogna e falsità. E su queste basi solo guerre, da quelle
in casa a quelle per le strade a quelle per i campi di battaglia. Ciò
che un uomo è si vede anche da quello che fa.
Ho sempre
cercato di mostrarmi umile, ho sempre cercato di farlo. Per le
strade, per i mercati, per i negozi e sul lavoro: umile perché non
sono di nulla migliore degli altri; umile perché ciò che ho di
prezioso non vale proprio nulla se non lo metto umilmente a
disposizione degli altri; umile perché solo così si può vedere
l’amore che ciba il mio cuore e che vuole donarsi ad altri...
Ci sono
stati momenti in cui ho avuto voglia di forzarmi, di decidermi a non
credere. Ma avrei chiesto l’impossibile a me stesso. Forse te l’ho
già detto altre volte, ma per me decidere di non credere più in Dio
sarebbe come dire che il sole è un’illusione. Ne ho fatto
l’esperienza. E non si tratta neanche dei benefici immensi che si
ricavano dall’accettare questa realtà. È infatti una verità
già presente, che lo si voglia o no. Se decidessi che non c’è il
sole potrei considerare inutile mettere i panni fuori ad asciugare e
quindi non farlo. Ma ciò non toglierebbe che mentre io sono in casa
ad attendere che col tempo i miei vestiti si asciughino e io possa
finalmente andare da qualche parte, là fuori il sole c’è
comunque, che io lo voglia o no...
Sente ancora
il puzzo dei gas di scarico dell’auto della donna. Non ha più
rialzato il finestrino. Sporge il viso fuori e sorride alla luna, al
silenzio, ai miliardi di minuscoli esseri viventi che gli stanno
tenendo compagnia. Poi raccoglie i fogli, scende dall’auto e si
avvia per il vialetto di casa sua.
Il televisore
è spento. Nessuno dorme sul divano. Poggia le carte sul tavolo della
cucina e va in camera da letto. La moglie dorme. Si spoglia e le si
stende accanto. Lei non si sveglia. Si apre la porta della camera. La
figlia gli si avvicina stropicciandosi gli occhi. “Torna a letto,
tesoro”, le dice. “Domani dovrai andare a scuola. E finite le
lezioni, finita la scuola, tornerai a casa”.
© G.M. Schmitt