giovedì 21 giugno 2018

La porta


Avrei mosso lo stesso quei due passi
verso la porta, ma con un senso diverso
e forse nuovo, di certo non trascinandomi,
spossato,
sulla melma indistinta dei nostri trascorsi

Avrei accompagnato me alla porta gentile
e a testa alta, sicuro del mio portamento
e felice quasi d'una spregiudicata
speranza
di aprirla al sole e al vento e al canto.

Non hai mai voluto che fosse così,
deduco
dallo sciocco pretesto da te addotto

Eppure eri entrata dalla finestra,
allora,
uccello libero di volare dentro e fuori.

Adesso te ne stai immobile,
invece,
nella gabbia che ti cresce intorno

e che tutto ingloba e confonde, anche
la porta,
a cui presto nessuno potrà più bussare.

© G.M. Schmitt

lunedì 11 giugno 2018

Quando infine tu hai deciso



che a me dovevi rinunciare
ti sei allontanata rapida,
ma fino all'ultima frazione di decibel
ho seguito immobile il ciaf ciaf
delle tue converse all star ancora
zuppe d'acqua per la recente pioggia
che gioioso avevo scambiato
per un nostro battesimo
o quantomeno un'acida benedizione.

Al tempo tutti quelli che conosco
- tranne la madre, no lei no -
han fatto sembianza
di portare il lutto per me, così,
perché era finita una mia cosa bella
e sulle prime vi ho creduti tutti
e il vostro affetto, che a me allora
pareva carne e sangue
e invece era plasticoso,
mi diede persino l'illusione
che la mia disgrazia fosse più lieve,
che l'angoscia potesse, grazie a voi,
lasciare il posto a una tiepida malinconia.

Ma poi è venuta la notte,
luna piena e chissà se benigna,
e vi ho rivisto meglio, o così ho creduto,
nel mero ricordo.
E, venuto meno il sonno,
mi son seduto al mio scrittoio
per esaminarvi meglio a uno a uno,
ora da voi non visto,
e quel che ho visto mi ha trafitto il cuore.

Vi voglio bene lo stesso, però,
uno per uno così come siete,
ma lasciate, vi prego,
che io non sappia mai
che non lo avete fatto per me,

ma solo perché troppo pigri
per rimodellare un'immagine,
dannata ma cara,
e per non dover dare spiegazioni
ai vostri figli di quella foto
in cui mi avete colto sorridente.

Non partirò più, forse,
per viaggi da cui far ritorno,
ma anche quando avrò messo piede
sull'ultimo treno sognerò
e voi e il volo e questa mia tristezza
che mai avete lasciato tracimare,
vigili sempre, attenti e premurosi
a non evocar tragedia.

Ve ne son grato, adesso,
come ve ne sarò grato allora
e ora come allora soltanto
un suono pretendo che sia mio:

quello di braccia che infrangono l'onda
che non torna più alla spiaggia
ma si fa silente e svanisce,
lentamente, cullata dalla melodia
di altre bracciate che ancora e ancora
smuovono montagne d'acqua
e continueranno a smuoverne
soltanto per la gioia di ascoltarne,
di nuovo,
la musica.

© Mattia Schmitt