domenica 27 dicembre 2020

Canti

Non cantavi così, allora;

eri piuttosto stonata, invece,

ma io ti tenevo stretta

e curavo il tuo canto come un fiore

che avrei visto esplodere d’incanto.

 

Adessi sei lì, infine,

sotto i riflettori

e canti per altri;

non canti per me,

ma canti d’incanto.

 

Forse verrò ancora a sentirti,

senza far più caso a chi sorridi,

ma cercando l’incanto

che ha mosso i miei piedi.

 

Non è una vecchia voce fra tante, la tua,

ma quella che seppe elevare l’incanto.

 

Incantevole persino la nota che mi risparmiasti.

© G.M. Schmitt

martedì 28 luglio 2020

Vicino o lontano

Ho smesso di plagiare il tempo

indossando un promemoria,

ma ho dimenticato, lo faccio

sempre, di aver cancellato i ricordi.

 

Quelli che mi perseguitano

non riesco a cancellarli,

non son tanti ma son macigni

per chi ha abusato di Dio.

 

Sono stanco ma mi sveglio, forte,

non ho vigore, ma mi alzo

e resisto e vivo e compio gesta,

in soccorso della mia piccola mente ansiosa.

 

Se avessi cavalli e carri e eserciti

li licenzierei tutti su due piedi:

mi basterebbero quattro bestiole

su campi non arati ma vegeti.

 

Ma ora non ho né gli uni né gli altri,

mi chiedo che cosa deciderà l’angoscia,

quale direzione finirà per prendere,

se mi condurrà vicino o lontano,

 

troppo vicino o troppo lontano,

 

o se mi abbandonerà nel sogno.

 

© Mattia Schmitt

domenica 5 luglio 2020

Cade regolarmente

Cade regolarmente

a volte si rialza

altre no.


Cede anche

e finirà

finirà per stramazzare.

 

Ma i suoi occhi non sono

mai stanchi

e sempre sono puri.

 

Sarà felice di aver colto

felice di aver riflesso

felice di aver donato

e gioia e bellezza.

 

E quando cadrà

per l’ultima volta,

magari i suoi occhi

rotoleranno sani nell’urna.

 

© Mattia Schmitt


sabato 4 luglio 2020

Son qui che accarezzo un’idea


Ora son qui che accarezzo un’idea,
audace o leggera non so.
So che a tanti non importa.
Son qui a tentare una decisione,
come se ne avessi mai sapute prendere,
ma il fiato corto me lo impone.

Non sarò io a scegliere la rotta.
Con i remi nemmeno in barca
e in bocca il salmastro greve della deriva
non so se tendere una mano o rannicchiarmi…

Stanno lì e aspettano come fossero parenti,
quasi avessero occhi soltanto per me,
con il cuore che palpita invano non visto.
Son lì ad adirarsi per finta
per le mie congetture, per le mie viltà,
lo sguardo perso altrove dove a me non duole.

La mano non l’ho tesa, mi sono lasciato cadere,
ho penzolato per un po’ tra lo scafo e la distesa,
ho abbracciato l’onda, mi ha inglobato,
non ho più la barca, non ho più le idee.

Non sono annegato
ma è un trionfo dell’abisso
nero pece e verde e alghe,
viscido pensiero nel grembo
d’un’onda di burrasca
che non riesce a vomitarmi
da quando ho soltanto
saputo decidere per lei.

© Mattia Schmitt

domenica 17 maggio 2020

Prima di tornare a casa

Voglio andare a letto,
voglio sognare,
voglio scrivere poesie.

Voglio entrarti dentro.

Voglio giungere al cielo.

Voglio volare
in una giornata
di risurrezione.

Poi tornerò a casa.

© Mattia Schmitt

sabato 16 maggio 2020

Non c’è più poesia

Non c’è più poesia in me,
per molti non c’è mai stata;
per me quasi c’era,
ma ora non c’è più.
Non recito un requiem
per quel che per voi non c’era
e non lo recito
per quel che un po’ per me c’era,
ma penso e ripenso a quel volo
da cui nacque una speranza,
a quelle ali libratesi
d’un tratto in volo
in un cielo maestoso.

E quella speranza c’è ancora
e forse ogni giorno
più dell’altro giorno.

© Mattia Schmitt

Come una crosta


Come una crosta da pelle
per cui c’è forse ancora speranza
vado staccandomi a poco a poco
da tutti a uno a uno finché
resterò solo come del resto sono già

in un isolamento non splendido

a parte i miei occhi,
belli non violati.

© Mattia Schmitt

Prima di tornare a casa


Voglio andare a letto,
voglio sognare,
voglio scrivere poesie.

Voglio entrarti dentro.

Voglio giungere al cielo.

Voglio volare
in una giornata
di risurrezione.

Poi tornerò a casa.

© Mattia Schmitt

venerdì 15 maggio 2020

Che cosa vedi nel buio?


Che cosa vedi nel buio?
Scorgi qualcosa negli occhi della morte?
Che cosa vedi oltre la tempesta
i suoi sbuffi gli spruzzi l’acqua
che lava di sale il tuo viso?

Scivolerai dal molo?
Salterai giù dal molo?

Vivrai abbastanza da dare la tua mano
quando infine arriverà il momento
in cui la nave vorrà attraccare?

Sarà un’alba? Sarà un tramonto?
Sarà la quiete o la tregua
Della tua tempesta?

Dio abbia pietà di te.

© Mattia Schmitt

A chi merita di più


Tengo aperta la porta
al cane che si lecca le ferite,
spalanco anche la finestra,
entri il vento ed entrino i gatti,
entrino pure angeli e demoni.
Io sarò sull'uscio a vegliare.

Entrino gli spudorati,
si misurino gli avvoltoi,
crescano le ragnatele.

È come un’aura
la mia in dono
mentre il cane
bontà sua
si lecca le ferite

ignaro dello scorrere.

© Mattia Schmitt

mercoledì 15 gennaio 2020

Com’è stato possibile arrivare a questo?


Dark star crashes, pouring its light into ashes
(Robert C. Hunter)

Non puoi berti tutto il mondo e sperare,
anche soltanto sperare,
di non aver mai più sete.
Siamo tutti piccoli mondi impenetrabili
e un dono non sarà mai
quello giusto davvero
per chi si affretta comunque alla morte
certo soltanto
di lembi di mistero
in attesa perenne della loro stele.

Se Dio vuole posso farcela, se non vuole
sarà stato giusto
non avercela fatta.
Qualche volta posso osare avvicinarmi,
tendere timidamente
una mano, sfiorare,
toccare un attimo per capire di che sa,
ma è rapido il fulmine
che me la fa ritrarre.

A un passo dal cielo
si rischia di smarrirsi,
lì dove ragni intessono delusioni e pene
e non c’è chi,
non si vede chi,
non si crede chi: un gatto? un falco?
possa strapparle
e le strapperà
per restituire il candore alla parete.

Sarò catapultato al principio, ma già
carico del futuro,
oppresso, spossato,
ormai limitato nei movimenti, nelle mosse.
Non posso piangere,
non posso farlo, oggi.
Un cavallo e la regina proteggono il re.
Il pedone lo contesta.
Non posso piangere,
non posso farlo, ma abbandono il gioco.
Resto a osservarlo.
Riduco il respiro.

La pioggia sferza impudica i finestrini,
lascia tracce e rivoli,
li frusta ma non entra,
resta fuori sul mondo in attesa, immobile,
che la smetta di provarci.
A volte è come se,
smarrito, mi fossi sposato con me stesso
e attendessi, impaziente,
una ragione per divorziare.

Quando io non ci sarò più prenditi cura di me,
estirpa le erbacce
della mia esistenza.
Piango spesso, senza nessuno dei vostri motivi
e soltanto qualcuno
di quelli miei.
Poi però lascio asciugare le lacrime e vado
a lavorare
o a cucinare
o a portare l’auto dal meccanico o a comprare
il cibo al gatto
e qualcosa anche per me.
E non so ancora perché accade, perché lo faccio.

Il diavolo è venuto a giocare nel mio cortile,
ma non è rimasto a lungo.
Ogni tanto arriva, poi però
tornano sempre i pensieri belli: e lui scappa.
Peccato e virtù,
come olio e acqua.
Quando provi a mischiarli qualcosa muore.

Chi ricorda i farmacisti che impacchettavano i farmaci
e mille altri gesti che
non ci riguardano più?
Ci preoccupavamo di ricordarci il cambio dell’ora,
ora non più, ci pensano
per noi gli inanimati.

Dio è tanto buono che renderà l’inferno sopportabile.
E a ferirci
sarà il suo amore.
Se non c’è più nulla oltre la curva conviene scontrarsi
col muro e sperare
di attraversarlo.
Qualsiasi cosa sia rimasta io non riesco a vederla.
Dammi forza
tu che puoi
e luce per i miei occhi affinché io sappia.
Importante è quanto io sappia ancora amare,
non quanto
io sia amato.

Non sono la fenice, ma ho sempre volato
per non smettere mai
e se un giorno le mie ali
bruceranno le osserverò ardere da me distanti:
io starò ancora
proseguendo il volo.

Un’altra luce si è spenta per sempre: quante ne restano
a illuminare
il viale?
Quante munizioni ancora per tenere a bada le tenebre?
Ma poi saranno gli zombie a farla da padroni.
I nostri, noi,
o i loro, loro?
Una carneficina di desideri e poi di sogni
e infine
di speranza
lascia un campo brullo intriso di sangue.
Mi rialzerò, forse, quando tutto sarà passato.
Non in un’alba.
Non in questa notte.
Non in una voglia d’amore, di morte, di oblio.
Solo, in una folle
gioia di culla.
Inutile, vana, cieca, ma gioia. E folle, esagerata,
come di chi vede
l’oro nel fango
e non si accorge del sangue e del veleno. Salvami.

Riconosco il nemico lontano un miglio, ma
spegnerò la luce
in questa notte:
la mia anima sfavillerà e soffocherà le tenebre.

Però, con lei sarei stato bene
vicino alle stelle e oltre
in viaggio verso quella scura,
quella scura,
con te.

© Giacomo Mattia Schmitt