Medea
si accese una sigaretta,
poi
l'appoggiò sul posacenere,
si
accostò le dita alle narici
e
inalò odore di soffocamento.
Medea
chiuse la stanza a doppia mandata,
scagliò
la chiave nel pozzo luce,
andò
a riprendere la sigaretta
e
inalò fumo denso di catrame.
Medea
scostò una sedia dal tavolo,
vi
si lasciò cadere sopra,
portò
alle labbra il bicchiere di rosso
e
inalò frutti di bosco e ciliege.
Medea
si strinse nelle spalle,
fissò
assorta il quadro alla parete
d'una
bimba accoccolata in mezzo a un prato
e
inalò un bouquet di calendule e viole.
Medea
si alzò e andò alla finestra,
percorse
con gli occhi il pozzo luce,
vide
solo biancheria stesa e gatti pigri,
inalò
candore di lenzuola pulite.
Medea
corse alla porta della stanza chiusa,
le
diede calci e pugni fino a sfondarla,
raggiunse
i lettini e si chinò sui piccoli
inalando
profumo di latte e di talco.
Medea
li baciò e li strinse a sé,
uno
per volta per lo stesso tempo,
poi
alzò lo sguardo e lo sguardo vagò
e
inalò afrore di chi non c'è più.
Medea
barcollò fino in camera da letto,
sottrasse
alla cornice la foto di Giasone
e
la lacerò in mille pezzi e più
inalando
odore di acidi e carta.
Medea
si accasciò sul letto coniugale,
vomitò
il vino, vomitò la bile,
odiò
il marito più di sé stessa
e
dormì inalando abbandono e morte.
Medea
si svegliò meravigliandosene,
si
vestì in fretta e uscì dall'appartamento,
suonò
ai vicini e chiese “loro, dove sono?”
e
inalava aglio e caffè e ammazzacaffè.
Medea
non attese, li prese per mano,
vedessero
tutto, vedessero pure
e
mentre uno piangeva e l'altra chiamava
tutti
inalavano angoscia e terrore.
Medea
disse loro “è andato, se n'è andato,
l'amore
mio non gli bastava
e
se n'è tornato tra la sua gente”
e
inalò fragranze di terre lontane.
Di
terre lontane.
© 2014 G.M. Schmitt