Se lo strappassi e lo gettassi via
il torace traboccherebbe ancora,
livido, esangue,
dell’amore rubizzo
di cui s’è riempito i giorni
dei suoi decenni.
© G.M. Schmitt
Se lo strappassi e lo gettassi via
il torace traboccherebbe ancora,
livido, esangue,
dell’amore rubizzo
di cui s’è riempito i giorni
dei suoi decenni.
© G.M. Schmitt
Non devo vincere una battaglia
Non devo vincere una guerra
Non
deve
farlo
il
mio cuore
Una vita si vive o si muore
Non
deve
farlo
il
mio cuore
© G.M. Schmitt
Accarezzami,
tu sai massaggiarlo
mentre muore
ma ascolta
e sa rivivere
alla spira giusta.
© G.M. Schmitt
Tirami via da qui
Tirami verso di te
Strappami il cuore
Rendimelo guarito,
ma resta soltanto tu.
Tra l’altro
mezzo cuore era vivo.
E con quella metà
io amavo.
© G.M. Schmitt
Un insignificante
ineffabile
offensivo soffio
leggo nella sfera
di troppe penne
votate a vite altrui
salvo cambiare registro
e leggere autobiografie
tutte uguali
tutte copie
tranne il sangue
e forse il seme
e forse il fatto
che il nome era un altro:
il mio.
Ma il testo non cambia
anche se a volte
l’inchiostro è oro.
© G.M. Schmitt
A quanto pare
ti si vede qui intorno,
senza fretta di partire,
e ci riabbracceremo, forse.
Saremo colpe o saremo premi,
progrediremo lungo il molo
sotto la pioggia,
senza difese,
mano nella mano, forse.
Poi chissà che cosa sarà
ancora tra noi,
i pro e i contro,
l’amore e l’indisponenza,
l’amplesso o l’eternità
e sguardi basiti, forse.
Ci si rivede in giro, forse.
© G.M. Schmitt
Suonerai ancora
e ancora e ancora
prima che il coro di angeli
si affacci alla balaustra.
Una chitarra violata,
un basso e una grancassa,
un frastuono infernale
ai cancelli del cielo.
E poi ancora suonerai
e spanderai quel suono
come colori a olio.
E gli angeli alla balaustra
spalancheranno anche gli occhi.
© G.M. Schmitt
E io sono qui a stringere il vento
ma non soffia nemmeno una brezza,
è la calda volata del pulviscolo
tra i libri spostati
dallo scorrere degli anni.
© G.M. Schmitt
Tu sei la tua bugia
grande, possente,
con un sorriso largo così
e i suoi profondi crepacci
in cui specchiarsi è pregio e privilegio.
Sei una menzogna,
non una capanna, un riparo,
una gabbia che tiene al sicuro
da sguardi indiscreti
e sguardi liberi.
Sei tutto ciò che non andava detto,
ma è buio anche per te,
lo vedevi prima di aprir bocca,
lo sapevi, ma sei andato avanti.
Ora non hai più luce alcuna.
© G.M. Schmitt
Perché quando ci dicono
Che è un’eventualità molto rara
Tiriamo un sospiro di sollievo?
Sicuri di non essere noi il caso raro?
Non c’è empatia nello sfoggio,
nell’esposizione di opere d’arte.
© G.M. Schmitt
Urlavo “Papà” ma non mi sentivo nemmeno io
e il muro
intanto
cresceva
ancor più solido
ancor più silenzioso.
© G.M. Schmitt
E all’improvviso
non hai più niente.
Quanta autonomia
hanno ancora
i vestiti che indossi
prima che facciano
di te uno straccione?
Non che prima avessi molto,
ma curavi le apparenze
e che ogni risvolto
rispondesse ai più rigidi dettami
dell’ultimissima moda.
Avessi curato di più il cuore
saresti in cielo ora –
se nella carne o nello spirito non lo so,
ma staresti bene.
© G.M. Schmitt
Era un tale privilegio
averti a casa mia a cucinare
il tuo curry,
con il tuo Dylan –
la mia poca scelta di allora –
sullo sfondo.
Poi, mentre attendevi,
attendevamo,
l’amalgama perfetto
e il riso doveva ancora
essere messo a bollire,
alzammo il volume,
semmai fosse necessario,
One of Us Must Know (Sooner or Later),
brindammo e brindammo,
ma conservammo il vino migliore per dopo.
Parlammo e ridemmo
e sorridemmo senza fine,
finché l’amalgama fu perfetto,
il riso scolato, il curry servito.
Quando tutto fu pronto
e tutti fummo pronti
a tavola invitammo Ennio.
Suonava “Fuggire lontano” –
da L’automobile, 1971 –
mentre noi
insieme a tavola
gustavamo il tuo curry.
© G.M. Schmitt
Non dimenticare
quel che può fare
una foglia
mentre si adagia
fiduciosa sull’aria
che la trasporta a terra,
la spettacolare
circonvoluzione
di un corpo
che si restituisce
agli elementi.
Non dimenticare, no,
che non hai mai voluto essere
ma sei stato
perché una foglia
in autunno
fosse splendida e morente
e priva di morte parole.
© G.M. Schmitt
Non sarà troppo il tempo
passato a inseguirci
con lo sguardo da lungi
oltre la stella che hai chiamato
oltre quella col tuo nome.
Non saranno troppi i millenni
trascorsi avvinghiato a me stesso
in una cella di monastero.
Non saranno troppi gli sguardi
prescelti.
© G.M. Schmitt
Sporche di terra
del ferro di utensili
d’inchiostro e di sangue
di umori e di lacrime
segnate dalla pietra
avvinte dal tempo
lisce ruvide curve
sulla china del fare
sul viottolo dell’imprevisto
improvvide curiose, urla silenziose che afferrano
tiran su buttano giù
tornano a casa stringendo
spiccioli e catrame.
Sanno ancora accarezzare.
Non così l’intonaco
vostro che cede.
© G.M. Schmitt
Sarà meglio ch’io dica
grazie ora
che ancora respiro e odoro
e gusto e assaporo.
Prima che tempi
più contrari di questi
mi portino via come aquilone
o mongolfiera gonfiata di niente,
lasciata al vento per le sue consegne
e nulla, nulla, null’altro
che vapore
e un lieve sentore di gas
che nulla può.
Dico grazie ora.
E m’arricchisco.
© G.M. Schmitt
Non so nemmeno ora
quel che non sapevo prima,
ma forse è un bene,
le forze sono poche
e l’annuncio fatica.
La strada non si ferma,
ma c’è un limite alle suole
e nudo non voglio essere,
nemmeno coi piedi,
per chi non sa giudicare.
Colgo frammenti qua e là,
ne perdo e li dimentico,
la sacca già piena lorda
di cianfrusaglie e colpe
mi sta lacerando la spalla.
Presto la cinghia arriverà all’osso
e dall’osso alla carne viva
e dalla carne viva al cuor pulsante.
Soltanto allora griderò.
Probabilmente implorerò
una risposta che già ho
– non è più nel vento la mia –
e che non so ritrovare
– perché non ne riconobbi il volto.
© G.M. Schmitt
Ma magari scivolasse!
No, ti cade addosso come un peso morto
incurante dei potenziali danni,
delle fratture e dei traumi,
della sua stessa integrità.
No, non bada a nulla e a nulla pensa
se non a crollare come un palazzo
colpito dalla palla da demolizione
e chi si fa male si fa male,
chi non si rialza non si rialza.
Lei recupererà comunque i pezzi sparsi,
una pomata sugli ematomi e via.
E ti sorprenderà con un sorriso,
come fosse un dono.
Ma a volte, sì, si getta in paracadute.
© G.M. Schmitt
È vero, ho imparato
a star da solo e fingere
a me stesso che questo basti
– questo e un gatto.
So fare quel che si deve
e quel che si chieda
ma fino a un certo punto
– però capita ch’io tenda la mano.
Nessuno mi stringe
Nessuno mi abbraccia
Nessuno lo dicembre
– nemmeno questo, eppure
Non sono il colo, sicuro,
ad esser solo
e convinto di farcela, al meglio
– anche quando è buio.
E le sirene ululano
disperazione e nomi
e noi nascondiamo i nostri
– dietro barricate di sogni.
Dimmi che non sei più là,
ti prego, dimmelo.
La mia veglia può finire
– e tu puoi smetterla
di andare via.
© G.M. Schmitt
La musica non ascoltata
I libri non letti
I film non visti
Son tutti lì sullo scaffale
Ignari del loro scopo
Di quanto son preziosi
Di quanta pace custodiscono
Per un cuore in procinto
Di chiedere aiuto!
© G.M. Schmitt
È tardi ormai
per indugiare nel sogno
di una vita normale.
Un cuore forte
Un fisico asciutto
Una famiglia,
un cuore nel necrologio
con dentro i nomi
degli adorati abiatici.
© G.M. Schmitt
Quando tutto crollerà
chi chiamerai?
Non
importa.
Non
lo sai.
Dove ti nasconderai?
Chi ti guiderà?
No,
scusa,
non
sta a te dirlo.
© G.M. Schmitt
Fino a quando
dovrò temerla?
La incontrerò,
non dovrò neppure
parlare.
Ci guarderemo
un istante.
Avrò bevuto
un bicchiere
e reprimerò
la parlantina.
Non dirà nulla.
Non dirò più nulla.
Andrò con la gola secca
sull’altra riva.
Dove girano
i ricordi
che non sapevi.
© G.M. Schmitt
Ancora no?
E perché mai indugiare,
starsene con le mani in mano,
non poterle muovere
né elevarle in preghiera,
supplica,
adorazione interessata.
Ancora no?
Quando, allora?
Quando finiranno di patire?
Quando ci trasferiremo
tutti e per sempre
nell’altra dimensione,
quella prevista per ognuno di noi?
Quando abbraccerò
i miei bambini?
© G.M. Schmitt
Erano andati perduti
Non furono mai ritrovati
Forse un giorno,
ma c’è da dubitarne.
Nemmeno allora
erano stati visti,
nessuno li conosceva,
qualcuno si inventava storie.
Molti li rimpiangono
Qualcuno si straccia le vesti
Lacrime lacrime lacrime
per un posto vuoto.
Sul palco diroccato.
© Mattia Schmitt
Svelami l’incanto
cuore mio
che ancora celi,
apri i tuoi recessi
ai miei occhi stanchi,
colma i rimpianti
prima di andare.
Fa’ entrare la luce
in ogni anfratto.
Andremo via insieme,
poi,
© Mattia Schmitt
Non ti meraviglieresti anche tu?
Occhi spalancati, se si può,
bocca aperta, se concesso,
sguardo abbacinato (questo sicuro).
Chi non si meraviglia?
Quando perde i sensi.
Quando il cuore lo tradisce.
Quando tutto vacilla e crolla.
Quando non c’è più nulla da perdere.
Io mi meraviglierò.
Ma sarò già altrove,
troppo in là per raggiungere qualcuno,
troppo tardi per vivere
© Mattia Schmitt